Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.

sabato 31 dicembre 2011

Meglio un'aragosta oggi o un amico domani?

“Il buongusto non disdice affatto alle donne. Esso... le compensa di alcuni malanni ai quali la natura sembra averle condannate.” Brillat-Savarin
- Franciacorta – Una pasciuta aragosta è solitamente il piatto forte del mio casalingo S. Silvestro. Quest'anno, per aver fortissimamente preferito uscire, ho rischiato di perdere aragosta e uscita. 
Con un amico gourmet si era deciso, a pochi giorni dalla data fatidica, di cenare in un buon ristorante di Franciacorta. Ci saremmo incontrati a Pavia e da lì saremmo partiti verso la nostra avventura gastronomica. Essere riusciti ad accordarci su a) cosa fare b) in che zona andare (il mio Piemonte o la sua Lombardia?) c) quale locale scegliere e infine aver trovato ancora posto ci era sembrato un portento, ma il 30 dicembre le nostre conquiste erano minacciate da alcune complicazioni: il mio amico, che nei giorni precedenti aveva già dovuto affrontare numerose trasferte tra Pavia e Brescia, scopriva di dover essere assolutamente a Brescia il 31 mattina. Pronto di buon'ora a uscire per mettersi in viaggio, non riusciva ad aprire la porta d'ingresso, rimanendo intrappolato in casa fino al fortunoso intervento dall'esterno di un'amica mattiniera. Dati i travagli, mi chiedeva se il 31 pomeriggio, invece che a Pavia come concordato, potevo raggiungerlo in treno in quel di Brescia. Io però, dal pomeriggio del giorno precedente sentivo una strana sensazione a un occhio e visto che il sonno non aveva portato sollievo ma solo occhiaie, la mattina del 31 mi rassegnavo ad andare al pronto soccorso dove l'attesa era di ore perchè c'era stato un incidente e il personale era molto impegnato. A metà mattinata trovavo un oculista non ancora in vacanza, mi precipitavo nel suo ambulatorio e scoprivo di aver avuto una lieve trombosi retinica. Tornata a casa scrutavo con occhio vigile l'orario dei treni scoprendo che collegamenti diretti per Brescia non ce n'erano e che il viaggio richiedeva circa tre ore. Con un occhio appannato e nel gelido inverno? Meglio di no. Già mi prefiguravo un S. Silvestro a casa e senza la fedele aragosta che avevo tradito per la promessa di un menu da 8 portate + cotechino e lenticchie di mezzanotte e il calore dell'amicizia, quando l'amico gentiluomo risolveva tutto venendo a prendermi a casa. 
Avendo un senso dell'umorismo affine, scherzavamo su quanto era successo e ci chiedevamo cosa ancora poteva accadere. Una defezione dello chef dalla cucina e sue piroette in sala? Uno scivolone giù dalle scale? (in effetti tra occhio appannato, scivolosi gradini in pietra e scarpe con tacco alto, la proposta di usare l'ascensore mi ha tentata) Ma al varco ci aspettavano una cena davvero piacevole e, grazie al sodalizio stabilito dal mio amico con il maitre, una degustazione di vini al calice destinata a spingersi ben oltre le quattro etichette previste (alla fine sul tavolo esibivamo 7 bicchieri diversi ciascuno, più il calice finale di Champagne bollicine). I miei piatti preferiti: tartara di scampi crudi crema acida e caviale, fagottini agli asparagi affumicati con tartufo nero e consommè di spugnole. Niente male anche gli spaghetti tiepidi con mazzancolle e ricci di mare crudi (nella foto) e il tortino di cioccolato fondente con cristalli di sale e olio extravergine d'oliva (qualcosa deve essere invece andato storto nella preparazione del cotechino, salvato dalle buone lenticchie). Dedicato a quelli che a S. Silvestro non vogliono andare al ristorante perchè, sostengono, tanto non si mangia bene. E agli amici indulgenti.
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Ecco il menu completo del mio S. Silvestro 2011:
Aperitivo di Benvenuto: spritz e stuzzichini
Tartare di Scampi, Crema Acida, Polvere di Capperi, Caviale Oscietre xxxx
Vellutata di Lenticchie, Calamari “Morbidi”, Foglia d’ostrica (o meglio Foglie di erba ostrica, erba aromatica il cui sapore è identico a quello del mollusco che era invece totalmente assente dal piatto)
Spaghetti Tiepidi, Mazzancolle e Polpa di Ricci di Mare xxx
Fagottelli agli Asparagi Affumicati, Consommé di Spugnole, Tartufo Nero xxxx
“Mediterraneo d’Inverno”: Scaloppa di Merluzzo, Capperi, Acciughe, Ceci ed Agrumi
Petto d’Anatra al Rosa, Riduzione di Mosto d’Uva, Piccola Terrina del suo Fegato xxx
Piccola Crème Brulèe al Frutto della Passione
Tortino Morbido al Cioccolato Fondente, Cristalli di Sale e Olio Extravergine d’Oliva xxx
Piccola Pasticceria
Assaggio di Cotechino al Cucchiaio con Lenticchie di Castelluccio

giovedì 29 dicembre 2011

Giovedì: pizza e Marco Polo

“...la poesia e la musica si erano associate alle delizie dei pranzi...” Brillat-Savarin
- Piemonte – Ai tempi della scuola amavo il giovedì perchè a casa la sera mi aspettavano la pizza della mamma (le mozzarelle fresche le comprava al mercato che si teneva appunto il giovedì) e in tv il "Marco Polo" di Giuliano Montaldo (con le musiche del sempiterno Morricone). 
Anche se lo sceneggiato alla fine esaurì il suo ciclo (ma non il suo esotico fascino che mi avvicinò a Il Milione e alla sceneggiatura di Maria Bellonci), per molto tempo quella del giovedì è rimasta una sera in cui non prendere impegni fuori casa, soprattutto per cena.
Molti anni dopo lo chef romano Massimo Riccioli mi ha raccontato che da giovane aveva partecipato come operatore cinematografico alla lavorazione dello sceneggiato, come provano i titoli di coda nei quali compare il suo nome. In seguito lasciò Cinecittà per tornare ai fornelli di famiglia, nel ristorante di pesce più famoso di Roma.

mercoledì 28 dicembre 2011

Sotto il vestito... la pancera

“I predestinati del buon gusto donne sono grassocce, più graziose che belle, e tendono un po' all'obesità. Quelle che sono più propriamente ghiotte hanno i tratti più fini, l'aspetto più delicato...” Brillat-Savarin
- Pavia, Lombardia – Mi chiedo come facessero le dame dell'epoca di Brillat-Savarin a essere "ghiotte" indossando il busto. Forse è questione di abitudine o di esercizio, insomma qualcosa a cui noi donne moderne non siamo per fortuna abituate. Lo dimostra l'episodio esilarante che mi ha raccontato un'amica, accaduto a una sua conoscente (di professione sarta, quindi "addetta ai lavori"). La signora doveva partecipare a una cena e, volendo indossare un abito aderente, tosto acquistava una guaina per appiattire la pancia. Come già Bridget Jones ci ha insegnato, dal punto di vista estetico il risultato appariva soddisfacente e la serata era iniziata bene. Tutto procedeva per il meglio, fino al momento in cui si era dovuta sedere al tavolo del ristorante. A quel punto la parte superiore della guaina infida e traditrice si era ribellata, arrotolandosi verso il basso su se stessa  come un ricciolo di burro. L'abito stretto impediva qualunque possibilità di infilare una mano per domare l'aggeggio impazzito e il seguito lo ignoro ma dubito sia stato piacevolissimo. Chi progetta questi arnesi (un uomo, scommetto), dovrebbe quantomeno fare dei test... su tavola.

martedì 27 dicembre 2011

Quel che resta del gourmet

“Tutti gli uomini… sono stati così fortemente tormentati dalla bramosia delle bevande forti, che sono riusciti a procurarsene…” 
Brillat-Savarin
- Torino-Roma – Il pendolino Torino-Roma era popolato da un'umanità variegata e non banale, scomparsa sui frecciarossa. Nell’ultimo viaggio prima della sua disgraziata soppressione, vi incontrai il passeggero più strano di sempre. Ero salita a Voghera alle 8.50 (adesso vado con uno sgangherato trenino locale fino a Milano e lì cambio...) e non avevo quasi notato l’uomo seduto di là del corridoio. Ignoranza che durò poco perché appena partiti lui iniziò a parlare... da solo. Lo osservai. Indossava un completo grigio in seta di ottimo taglio e una cravatta intonata. I capelli castani arrivavano alla nuca ed erano un po' pazzi come i suoi discorsi.  Parlava senza un accento particolare e con un vocabolario colto. In una mano teneva un bicchiere di carta nel quale versava il vino da una bottiglia appoggiata su una grande valigia verde di un’eleganza d'altri tempi rigorosamente senza rotelle, e nell'altra un sigaro spento che all'altezza di Stradella pensò bene di accendere. Appena l’aroma si diffuse ci fu la ribellione generale dello scompartimento, con conseguente arrivo del capotreno che ci raccontò di quel passeggero distinto e agiato spesso in viaggio sulla linea Torino-Roma che da un anno era inspiegabilmente cambiato e spesso ubriaco (la bottiglia che vedevamo era già la seconda e a metà viaggio ne avrebbe acquistata una terza). Tornata la calma e promesso al capotreno di fare il bravo, l’uomo estrasse la fotografia di una donna e iniziò a parlare con lei, assicurandole che la amava. Da quanto insisteva, lei non doveva esserne molto convinta. Fino a quel momento, lo confesso, l’uomo mi era sembrato solo un gran rompiscatole che non stava mai zitto e si infilava nei miei pensieri, ma a Piacenza ci fu una svolta. Il cartello della stazione risvegliò in lui vivaci ricordi gourmet e iniziò a descrivere la cena in un gran ristorante cittadino che riconobbi e del quale fece una recensione confusamente esatta che me lo rese simpatico. All’altezza di Firenze il vino lo aveva ormai completamente confuso e, vedendo ripartire il treno verso la stessa direzione da cui era arrivato, si convinse che il macchinista avesse sbagliato il senso di marcia e che stessimo tornando indietro. Su questo punto non trovò pace e per il resto del viaggio continuò a ripetere che bisognava fare dietro front. Arrivati a Roma il capotreno e il personale del bar lo aiutarono a scendere. Quelli del bar furono molto villani, facendo battute sul vino bevuto come se non glielo avessero venduto loro. Una volta sceso, l’uomo, per una coerenza tenacemente portata fino in fondo, si incamminò non verso la stazione ma verso i binari esterni, convinto che avendo il treno sbagliato la marcia, Roma si trovasse in quella direzione. Io avevo un appuntamento e non potei restare a vedere come andava a finire, ma ancora oggi, ripensandoci, mi chiedo fin dove sarà arrivato, come e quando sarà uscito dalla stazione e se ad aspettarlo c’era la donna della fotografia o il suo fantasma.

lunedì 26 dicembre 2011

Il piacere della lista

“La paura di tanti dolori fa si che l'essere umano si getti istintivamente con slancio dal lato opposto e si affezioni con tutta l'anima ai pochi piaceri che la natura gli ha concessi.” Brillat-Savarin
- Piemonte – Dopo l'assegnazione dei locali da recensire per la Guida che verrà, il mio massimo divertimento è scriverne in colonna nomi, indirizzi, telefono, giorni di chiusura e ferie e poi calcolare quanto distano e il tempo necessario per arrivarci. Alla fine stendo un calendario delle future visite (che poi non rispetto quasi mai), immaginando gite ai dintorni delle località che ospitano i ristoranti. La soddisfazione più grande però è tirare una riga con l'evidenziatore colorato sui nomi dei locali visitati. Zac, zac, zac... Bello riuscire ancora a divertirsi con poco...

lunedì 21 novembre 2011

Tartufo bianco a colori

“...il tartufo si trova, ma non si sa né come nasca, né come vegeti...” Brillat-Savarin
- San Sebastiano Curone, Piemonte – Quest'anno in Piemonte il tartufo bianco è scarso. Alcuni motivi si possono cercare nelle bizzarie del clima e, come spiega anche Petrini, nel mix di fattori legati alla violazione del paesaggio che ne compromette la rinascita e alla raccolta precoce che impedisce la piena maturazione. 

Alla premiazione del tartufo bianco della Fiera di San Sebastiano Curone di quest'anno il caratteristico profumo sulfureo simile al gas metano non era magari da capogiro come in passato, ma in compenso una bella mostra di disegni di bambini di ogni età ha dimostrato che gli infanti piemontesi hanno le idee chiare sul ciclo vitale del pregiato tubero: scovato dal cane, è poi preparato dal cuoco che con l'apposito attrezzo lo spolvera sulle uova a occhio di bue accompagnate da un vino rosso locale. Cosa volere di più? Magari il cinghiale di un altro disegno, ritratto mentre contende il tartufo al trifulau che senza tante storie glielo cede e si rifugia su un albero.

martedì 15 novembre 2011

Un tè a piazza di Spagna

“La paura di tanti dolori fa si che l'essere umano si getti istintivamente con slancio dal lato opposto e si affezioni con tutta l'anima ai pochi piaceri che la natura gli ha concessi.” Brillat-Savarin
- Roma – Con l'amica Costantina decidiamo di andare nella famosa Sala da tè inglese di piazza di Spagna. La mia amica vive a Roma da molti anni, io mi sono trasferita da poco e nessuna delle due ci è ancora stata pur avendone curiosità. La immaginiamo come un posto in stile "british", tutto boiserie in legno scuro e carta da parati, con tavoli impeccabili serviti come minimo da cameriere con crestina che porgono, con un misto di algida grazia albionica e materna bonomia, teiere d'argento, tazze in porcellana e alzatine dalle quali scegliere invitanti dolcetti. Non avevamo tenuto conto del fatto che, se anche il locale porta l'insegna britannica, siamo pur sempre a Roma e per giunta in una piazza ad alta concentrazione turistica. Apriamo la porta e ci ritroviamo in una sala caotica e rumorosa, sedute a un tavolino striminzito, servite da una cameriera sbrigativa che ha esaurito da un pezzo tutti i suoi sorrisi. Scegliamo da una carta che ha visto un po' troppe mani su di sè un tè e degli scones che non riescono ad addolcire la nostra delusione. Forse il problema è che non siamo turiste disposte a trovare tutto pittoresco. 
¸.•*¨*•☆Ƹ̵̡Ӝ̵̨̄Ʒ☆•*¨*•.¸ Per riappacificarsi con il tè, leggere: Tè cinefili e letterari

lunedì 14 novembre 2011

Tè cinefili e letterari

¸.•*¨*•☆Ƹ̵̡Ӝ̵̨̄Ʒ☆•*¨*•.¸ Dopo Un tè a piazza di Spagna consiglio di riappacificarsi con il tè attraverso la visione del film "The Winter Guest" (L'ospite d'inverno, 1997) di Alan Rickman con Emma Thompson (e la madre Phyllida Law). Memorabili le due anziane signore (Sheila Red e Sandra Voe, nella foto) la cui vita mondana consiste nel partecipare a funerali per poi premiarsi con tè caldi e torte cremose in tranquille sale da tè (il film fa anche venir voglia di scattare fotografie) oppure di "The Remains of the Day" (Quel che resta del giorno, 1993) di James Ivory tratto dall'omonimo romanzo di Kazuo Ishiguro, anche se forse l'immagine dell'anziano padre del maggiordomo (un Anthony Hopkins dai gusti civili e non ancora antropofagi) che regge un enorme vassoio con un mocco al naso in potenziale caduta libera non vi invoglierà al tea time. Appassionano al tè anche i romanzi gialli di Agatha Christie e i film nei quali Miss Marple è impersonata da Margaret Rutherford (incoraggiano a darsi all'equitazione). Una tazza di tè si sposa poi ai romanzi di Somerset Maugham, dove gli anglosassoni finiti per scelta o più spesso per necessità nelle Colonie dell'Impero non rinunciano al tè caldo neanche sotto il sole del Tropico del Capricorno. Un tè è quasi d'obbligo leggendo le romantiche vicende descritte da Jane Austen e riprese al cinema. I miei film preferiti sono “Pride and Prejudice” (Orgoglio e pregiudizio, 1940) di R.Z. Leonard con Greer Garson e l’orgoglioso Lauwrence Olivier e “The Jane Austen Book Club” (Il club di Jane Austen, 1997) che ha il “solo” difetto di far bere poco tè ai protagonisti. E per finire in gloria, è divertente l’origine del tè inventata da Uderzo nell’avventura “Asterix chez les Bretons” (Asterix e la pozione magica, 1986) dove i britanni alle cinque in punto smettono di combattere le guarnigioni romane per sorbire una tazza di acqua calda, alla quale i buongustai aggiungono un batuffolo di latte. Sarà Asterix a dar sapore a quell'acqua regalando loro le spezie ricevute dai ricchi mercanti salvati in mare, a suon di pugni, dall'attacco pirata.

domenica 13 novembre 2011

Vantaggi dei ristoranti

“Vantaggi dei ristoranti: con questo mezzo ognuno può pranzare all'ora che gli fa comodo secondo le circostanze derivate dagli affari e dai piaceri.” Brillat-Savarin
- Alessandria, Piemonte – Domenica mattina alla festa di S. Baudolino con mio padre. Dopo aver girato in lungo e in largo per acquistare acciughe all'erba cipollina, risotto alla rosa, salame di cinghiale toscano, formaggetta di Roccaverano, funghi porcini sott'olio, castagne di Cuneo, liquirizia della Calabria, lupini ecc. e veder premiati super tuberi inavvicinabili, ci fermiamo in un ristorantino del centro per uno spuntino veloce. Ordiniamo dei tajarin al tartufo (di chissà quale provenienza) e li aspettiamo mestamente bevendo Grignolino e Nebbiolo, quando vediamo arrivare al tavolo vicino un grande piatto ovale con al centro una cornucopia di ananas, melone bianco, kiwi, frutti di bosco e, ai due lati, gamberoni alla griglia su un letto di patatine da una parte e pollo caramellato al lime dall'altra. Forse abbiamo la bava alla bocca, perchè la proprietaria del locale ci chiede se vogliamo cambiare l'ordinazione, tanto i tajarin non sono ancora stati preparati. La risposta è unanime e immediata: "Si!!!" I vicini sollevano divertiti il loro piatto per mostrarci meglio il contenuto e noi ci lecchiamo i baffi pregustando le leccornie in arrivo. Quella che doveva essere una sosta veloce ed economica si trasforma in un pranzo di oltre un'ora al doppio della spesa, ma siamo felici e per giunta facciamo amicizia con i vicini di tavolo (se vi state chiedendo cosa ci sia di strano, non siete mai stati ad Alessandria).

martedì 8 novembre 2011

Acerbi inviti

“L'iniezione di sostanze acerbe, acri o amare in sommo grado, può farci subire sensazioni penose...” Brillat-Savarin
- Roma – A pranzo in uno dei ristoranti più interessanti ed eleganti della Capitale, con cucina, cantina e servizio fregiati di stelle, cappelli e gamberi. Di solito ci vengo due o tre volte l’anno per provare i nuovi piatti e conosco tutto lo staff. I camerieri sono giovani e avvenenti ed è piacevole vederli servire in sala. Solo che oggi ci sono solo io e a turno vengono al mio tavolo per intrattenermi con qualche chiacchiera. Lo trovo un gesto gentile, anche se la conversazione forzata alla lunga rende un po’ stancante il pranzo. A un certo punto uno di loro mi chiede se conosco un certo locale romano in zona Portuense. In effetti è un ristorante di cui ho letto buone critiche e, dichiaro, mi riprometto di andarci. “E perché non domani sera” - coglie al volo il cameriere - “Ci andiamo insieme?” Veramente… io… “Vado a prenotare un tavolo?” Domani sera non posso… “Allora dopodomani!” Dopodomani riparto… “Andiamoci domani sera: interessa a tutti e due, sarà una bella serata!” No, davvero... non pensavo di andarci in questi giorni… “Facciamo così, il tavolo io lo prenoto e se le fa piacere mi trova lì”. Di solito sono preparata all’invadenza di alcuni avventori, ma non credevo ci si dovesse difendere anche dai camerieri! Basta là…

giovedì 3 novembre 2011

Influenza degli alimenti sul morale

“La gastronomia… considera anche l'azione degli alimenti sul morale dell'uomo, sulla sua immaginazione, il suo spirito, il suo coraggio e le sue percezioni...” Brillat-Savarin
- Torino, Piemonte – Sono alla stazione di Porta Nuova alle 13.45, in mezz'ora arrivo a piedi all'albergo (l'ho scelto per il nome, Amadeus, ma scopro che dell'effervescenza mozartiana ha solo le bolle nella bottiglia d'acqua del frigobar), apro la valigia ed esco. Alle 14.45 entro da De Filippis, il locale perfetto per chi ha voglia di mangiare da solo. È la prima volta che riesco a sedermi al bancone di fronte alla vetrata con vista sulla strada e sui passanti che invariabilmente ti guardano nel piatto. Ordino un bicchiere di Dolcetto d'Alba e degli gnocchi di patate con (tanta) fonduta di Toma davvero buoni; morbidi e saporiti, si sfaldano sul palato regalando una sensazione piacevole e persistente. Ormai sono rimasti pochi clienti e nel silenzio si sente distintamente il sottofondo musicale lento e malinconico, particolarmente adatto alla pioggerellina che si vede cadere su via Lagrange. Con gli ultimi sorsi di vino mi godo lo scenario, talmente romantico che sembra di essere a Parigi, eppure... ancora non riesco a innamorarmi di questa città.

Mezzanotte

“Nessuno debba andar via prima delle undici, ma a mezzanotte siano tutti a letto.” Brillat-Savarin
- Torino, Piemonte – All'inaugurazione della stagione teatrale arrivo in ritardo, e meno male, così escludo il guardaroba dal mio orizzonte. Mi accorgo infatti che il mio vestito in seta grigio perla, seppur semplice, è troppo frivolo rispetto al tono austero che si è deciso di dare alla serata. Intervistata, la Litizzetto dichiara addirittura di indossare la gonna che le ha cucito la sarta dell’ultimo film. Che tristezza... Come se non bastasse all'uscita rischio di andare a dormire a stomaco vuoto perché alle 23.00 non trovo una cucina aperta. Mi salva un'enoteca, a patto che non chieda cibi caldi. Orgia di formaggi dunque, e a mezzanotte a letto, come suggerisce la persona che senza tanti complimenti inizia a lavare il pavimento (formaggi alla candeggina, mai assaggiati?). E quando entro nell’hotel a quattro stelle il bar è spento come le candeline di una torta di compleanno del giorno prima.

lunedì 31 ottobre 2011

Stereotipi

“…un certo indefinibile istinto ci avverte che altre rivoluzioni devono ancora avvenire.” Brillat-Savarin
- Liguria – È giugno, ho trascorso quasi tre ore in treno e alle 12.15 finalmente approdo nel paesino del Ponente ligure dove mi metto in cerca del ristorante nel quale ho prenotato un tavolo per le 13.00. Unico indizio: si affaccia sul mare. In giro non ci sono molte persone alle quali chiedere indicazioni (cartelli mai…). Fermo un gruppo di bagnanti che hanno tutta l’aria di aver appena lasciato la spiaggia, ma non lo hanno mai sentito nominare e anzi me lo sconsigliano (ma se non lo conoscete, e per giunta avete l’accento milanese!). Proseguo nell’esplorazione e chiedo a un ragazzo che è del posto, sa dov’è il locale e mi spiega come arrivarci. Lo ringrazio e mentre lo saluto lui fa:
- “In bocca al lupo!”
- “Perché gli auguri? Si mangia così male?”
- “No, ma… non vai per un colloquio di lavoro?”
Eh certo, alle 13.00 vado al ristorante tutta elegante per cercare lavoro, mica per mangiare…
- “No, vado a pranzo”
- “Ah scusa… credevo andassi a cercare un posto di cameriera”
- “…”
Alla fine trovo il ristorante, preceduto da una scalinata al termine della quale una ragazza in camicia bianca e pantalone nero mi aspetta (non ci sono altri clienti), mi accoglie con un sorriso e mi invita a scegliere il tavolo che preferisco. Mentre mangio antipasto, primo e secondo sul piacevole patio carezzato dalle onde e bevo una bottiglia di Vermentino, ripenso alla conversazione con l’oriundo. La vicenda me ne ricorda un’altra: una ricercatrice universitaria italiana va in un negozio per cercare un abito da indossare a un convegno straniero prestigioso e la commessa le chiede se vi parteciperà come hostess. “Sono la relatrice”, risponde lei.

sabato 29 ottobre 2011

Vibrazioni

“L’udito riceve, per mezzo dell’aria, le vibrazioni prodotte dai corpi rumorosi o sonori.” Brillat-Savarin
- Langhe, Piemonte - <Smetti di sparecchiare e prendi le ordinazioni…!!!!! I tavoli lasciali fare a lei… che non sa fare altro…> sono le parole che sento sbraitare un sabato a pranzo appena apro la porta, non di una bettola, ma di un elegante locale nel centro storico di Alba lodato dalle guide per il buon rapporto qualità (cucina firmata dalla mano virtuale di un grande chef bistellato e ambiente molto curato) - prezzo (impostazione da piola di campagna). Il periodo del tartufo rende la cittadina frenetica e affollata, percorsa da sciami di gourmet famelici e bramosi di aggiudicarsi un tavolo al quale divorare una pietanza spolverata del pregiato tubero. Mantenere i nervi saldi per i ristoratori non deve essere quindi facile. Ma io preferisco stare dalla parte dei gourmet, e delle donne, e degli indifesi e questa frase, urlata dal capocameriere dal bancone verso la sala oltrepassando la cortina di speranzosi gourmet in attesa, è davvero troppo. Seguo lo sguardo del capocameriere per individuare il suo bersaglio: una ragazzina dallo sguardo triste ma non ottuso, intenta a raccogliere briciole e stoviglie sporche, troppo giovane per gestire dei tavoli, troppo giovane anche per lavorare. Faccio dietro front (appena la bizzarra porta scorrevole che scorre quando le pare mi lascia uscire) e vado altrove. Non sono mai più tornata.

martedì 25 ottobre 2011

Molestie gourmet

“La sensibilità vigila per darci, mediante il dubbio, il segno di una lesione immediata.” Brillat-Savarin
- Alessandria, Piemonte – Supponi di lavorare come ufficio stampa in un’agenzia pubblicitaria. Il tuo capo sa che sei patita di ristoranti e che scrivi per una Guida, anzi forse ti ha assunta proprio pregustando il momento in cui ti chiederà: “Quali sono i prossimi ristoranti che devi andare a recensire?” Tu sei un po’ ingenua ma non ci caschi e rispondi con un elenco di locali che farebbero passare l'appetito a chiunque.... tranne che al tuo capo, il quale ti prega di avvisarlo quando andrai a visitare il prossimo, perché vuole accompagnarti. A cena, ovviamente.
Passa il tempo e naturalmente al ristorante ci vai senza dirgli nulla finchè lui torna alla carica. Tu hai voglia di andarci a cena quanto di andare dal dentista e tergiversi. Ma lui, che non vuole più sentirsi rispondere di no, ti chiede spazientito se non sei così provinciale e maliziosa da pensare che nell’andare a cena insieme ci sia qualcosa di male. Eh si, è proprio quello che pensi... 
Basta, se proprio non sai deciderti lo fa lui: domani sera, dopo il lavoro, si va nel primo ristorante che gli hai elencato l’altra volta. La tua domanda "Allarghiamo anche agli altri colleghi?" cade nel vuoto e quando chiedi consiglio a una collega che lavora in agenzia da più tempo di te, la geniale risposta è che se non ci vuoi andare devi dirlo. Credevo di averlo fatto!
A cena lui parla di lavoro, tu lo lasci monologare e ti concentri sull'unica cosa che ti interessa: il cibo. Ovviamente non ti fa avances di alcun tipo, così la prossima volta che ti costringerà ad accettare un nuovo invito potrà dirti: “Visto che l’altra volta non è successo niente di male?” e in men che non si dica ti ritrovi a sorbire queste cene almeno una volta al mese e se fosse per lui dovreste andare tutte le settimane in tutti i ristoranti della zona, mica solo in quelli da recensire (piuttosto mi metto a dieta!).
Mentre ti senti sempre più la protagonista di un film alla Billy Wilder ma -sospetti- senza lieto fine, arriva la sera fatale in cui dopo la cena lui ti accompagna alla tua macchina e tenta di baciarti. Tu scosti il viso, fingi di non essertene accorta e te ne vai in fretta e furia. Il giorno dopo in ufficio non succede niente, ma la sera a casa inizi a inviare il tuo cv. E fai bene, perchè il nuovo invito non tarda ad arrivare. Questa volta hai fondato motivo di rispondere di no e ti impunti.
Le richieste di uscire a cena si diradano, mentre aumentano le lamentele del capo nei confronti del tuo lavoro che tu però svolgi esattamente come prima, rimanendo in ufficio a lavorare anche per 10-11 ore al giorno senza aver mai visto un centesimo per gli straordinari... fino al giorno in cui lui ti chiama nel suo ufficio e ti spiega che a causa della crisi è costretto a ridurre il personale e deve fare a meno di te. 

domenica 23 ottobre 2011

Ritratti: ebbrezze

“Il piacere della tavola è di tutte le età, di tutte le condizioni, di tutti i paesi e di tutti i giorni.” Brillat-Savarin  
- Langhe, Piemonte - A un tavolo accanto all’ingresso di una trattoria chiocciolata, due ragazzi in carne con simpatico accento romanesco cercano di far colpo sull'oriunda commensale bionda alzando i calici con generosa frequenza. Solo che prendono male la mira e dopo i primi bicchieri le risate virili si sentono fin dentro la cucina, mentre la piemontese, forse più abituata agli autoctoni vitigni, mantiene un divertito autocontrollo.

sabato 22 ottobre 2011

Febbre da tartufo bianco

Fotografia © Brillante-Severina

“Chi dice tartufo pronuncia una parola solenne...” Brillat-Savarin
- Alba, Piemonte – A pranzo in un ristorante che mi piace nel centro di Alba in periodo di tartufo bianco, ho la fortuna di essere circondata da stranieri che arrivano a tutte le ore e ordinano solo un piatto: tajarin con tartufo. Così io posso fare a meno di dissanguarmi con il pregiato tubero godendone il profumo quando il vassoio che ne contiene una collinetta viene portato e scoperchiato ai vari tavoli intorno a me. Allo stesso prezzo della loro grattata (una porzione di tajarin con tartufo bianco costa sui 45 euro, qui come negli altri locali) io mi gusto: un antipasto di Calamari e funghi porcini, un secondo di Scamone di razza piemontese ai capperi di Pantelleria con godurioso gateau di patate e finale di Savarin di mele con gelato + due bicchieri di Nebbiolo, acqua e grappa. Slurp.

venerdì 21 ottobre 2011

L'uomo che guardava passare i golosi

“Io sono soprattutto medico dilettante...” Brillat-Savarin
- Rivoli, Piemonte – A metà pomeriggio, nel mezzo di un'intervista con lo chef che in realtà è una chiacchierata che in realtà è un simpatico monologo, lui mi prende per mano e mi porta fuori. Oltrepassiamo il giardino ("Una volta non avrei calpestato quest'erba..." sussurra) e arriviamo a un portico che fronteggia la vetrata della lunga sala ristorante. "La sera, a fine servizio, vengo qui, mi accendo una sigaretta e osservo le persone ai tavoli, soprattutto i tavoli <importanti>. Da come mangiano, io capisco". Critici, gourmet assortiti e maniaci della fotografia clandestina dei piatti col cellulare sono avvisati.

venerdì 14 ottobre 2011

Baci e abbracci

“...io, avvezzo tanto al tumulto della società quanto al silenzio dello studio...” Brillat-Savarin
- Firenze, Toscana – Quest'anno ho partecipato alla presentazione della Guida (l'anno scorso avevo un super raffreddore e ho saltato). D'accordo che l'ambiente è prevalentemente maschile, d'accordo che la degustazione dei vini rende espansivi, d'accordo il vestito nuovo (né scollato né corto), d'accordo le pubbliche relazioni, ma non ho mai ricevuto tanti baci e abbracci. Chef di ogni dove, conosciuti e anche mai visti prima, direttori di sala, sommelier, colleghi autori di remote lande... tutti prodighi di baci e di qualche abbraccio di troppo. In poche ore ho colmato le carenze d'affetto dei prossimi sei tre mesi. Per questa volta, mettiamola così...

sabato 24 settembre 2011

Il seme in cucina? No, grazie

“Che cosa s'intende per alimenti? Risposta volgare: L'alimento è tutto ciò che ci nutrisce.” Brillat-Savarin  
- USA – Fra i molti libri (di cucina) dei quali non si sentiva la mancanza, spicca “Natural Harvest - A Collection of Semen-Based Recipes”. Sessantun pagine di elogio del seme che neanche i Monty Python, descritto come sottovalutato quanto desiderabile ingrediente di cucina. La recensione trovata sul web è impagabile e recita più o meno così: “Come il buon vino e i formaggi, il sapore del seme è complesso e dinamico. Lo sperma è economico da produrre ed è comunemente disponibile in molti, se non nella maggior parte, di case e ristoranti. Nonostante tutte queste qualità positive, lo sperma rimane trascurato come alimento...” Una vera ingiustizia semenziale! Già si pregusta l’amaro giorno in cui al ristorante camerieri e cuochi descriveranno, oltre a scrocchiante pane di lievito madre, paffuti ravioli fatti in casa, pacifiche trote affumicate in cortile e polli ruspanti attinti direttamente dall’aia, pure le acrobazie sessuali necessarie a produrre l’ingrediente freschissimo della nuova creazione di cucina.

mercoledì 21 settembre 2011

Felicità è: tajarin al mirtillo e porcini

“...ecco la gastronomia che è sempre pronta a recare aiuto.” Brillat-Savarin  
- Pollone, Piemonte – Oggi mi trovavo per lavoro nel nord del Piemonte. L'appuntamento era in una località imbriccatissima e all'arrivo ero stupita di non essermi persa e di non aver percorso le salite all'indietro. Mi ci voleva un premio! La scelta era tra pranzare in uno dei ristorantini della vicina Biella, tornare a casa mangiando un panino in autogrill (bel premio...) oppure regalarmi un pranzo nell'unico stellato del territorio. Facile indovinare la scelta. Due ore e mezza di puro piacere, al tavolo affacciato sul giardino, con farfalle vivaci che si posavano sui fiori profumati e il canto degli uccellini dagli alberi vicini. Con le bollicine di Caluso l'appetizer, un fiore di zucca ripieno di vellutate verdure, che a ogni boccone sembrava un succulento assaggio di minestrone. Tre gli antipasti: coniglio con maionese di mela e cialda di nocciole squisitissimo, animelle di vitello da slurp con ricotta, olive taggiasche e pomodoro passito, uovo pochè con funghi porcini. Poi, in un crescendo di felicità, tajarin al mirtillo (aggiunto nell'impasto) con funghi porcini e una tagliata di carne al rosmarino da sognarsela di notte per un mese. Il tutto annaffiato da una degustazione di tre vini della zona proposti da una sommelier entusiasta, per un conto di circa 70 euro + mancia. Ammiro gli stellati aperti a pranzo, anche per un solo commensale.

giovedì 15 settembre 2011

Macellaio e gentiluomo

"La vista abbraccia lo sguardo e ci fa consapevoli...” Brillat-Savarin  
- Caluso, Piemonte – E' la mia prima volta a Caluso e alle 10.00 del mattino, dopo un viaggetto di un'ora e mezza, cerco parcheggio a una ragionevole distanza dalle mie mete gourmet e non. Vedo una signora intenta a parcheggiare davanti a una macelleria e la imito. Chiedo anche rassicurazioni (alla signora appena scesa dall'auto): "Scusi, si può lasciare la macchina qui tutto il giorno o c'è il disco orario?" - "La lasci pure" è la veloce risposta. Tutta contenta mi incammino verso il centro del paese in cerca di un buon bar pasticceria dove fare colazione.
Quando verso le 18.00 ritorno alla macchina per partire, il macellaio esce dal negozio e mi dice che erano passati i vigili perchè, ebbene si, lì c'è il disco orario (grazie signora del mattino, neh...). Lui gli aveva però spiegato che mi aveva vista arrivare al mattino, che ero probabilmente lì per lavoro (in effetti...), di essere comprensivi ecc. e così multa evitata. Macellaio e gentiluomo! Chi ha detto che è meglio non impicciarsi degli affari altrui?

sabato 10 settembre 2011

Uscire dalla crisi con i marron glacé di Gadda

"Nei riguardi dell'economia politica il buongusto è il tratto comune che unisce i popoli per mezzo dello scambio reciproco degli oggetti che servono al consumo giornaliero. Esso fa viaggiare dall'uno all'altro polo provviste d'ogni genere...” Brillat-Savarin  
- Italia – Racconta Giuseppe Bertolucci (1) che quando era piccolo la casa dei genitori era frequentata da molti grandi (intellettuali) fra i quali Carlo Emilio Gadda. Il gran lombardo era un buongustaio per predestinazione; le sue opere sono disseminate di citazioni gourmet, per non parlare dell'articolo pubblicato sulla rivista Il gatto selvatico (ideata e diretta negli anni '50 da Attilio Bertolucci) con la sua ricetta per ottenere un buon risotto alla milanese. Bertolucci ricorda che dopo ogni invito a pranzo Gadda "immancabilmente inviava a mia mamma un plateau di marron glacé, che io saccheggiavo, con un bigliettino: <Per scusare le mie eventuali intemperanze verbali>." Se questa civile abitudine venisse riesumata, l'economia nazionale potrebbe tranquillamente reggersi sulla coltura della castagna.
(1) Giuseppe Bertolucci, Cosedadire, 2011

Il risotto alla milanese di Gadda

"I predestinati del buongusto sono per lo più di statura media, hanno il viso tondo o quadrato, occhi brillanti, fronte piccola, naso corto, labbra carnose e mento tondeggiante.” Brillat-Savarin  
- Italia – Carlo Emilio Gadda è sempre stato il mio autore italiano preferito e scoprire che era anche un gourmet me lo ha reso ancora più caro, confermando la teoria dei buongustai per predestinazione. Per chi, dopo l'ebbrezza aurea offerta dal risotto di Gualtiero Marchesi, volesse mettersi ai fornelli per preparare la più milanese delle ricette, ecco la versione gaddiana:

L'approntamento di un buon risotto alla milanese domanda  riso di qualità, come il tipo Vialone, dal chicco grosso e relativamente più tozzo del chicco tipo Caterina, che ha forma allungata, quasi di fuso. Un riso non interamente « sbramato », cioè non interamente spogliato del pericarpo, incontra il favore degli intendenti piemontesi e lombardi, dei coltivatori diretti, per la loro privata cucina. Il chicco, a guardarlo bene, si palesa qua e là coperto dai residui sbrani d'una pellicola, il pericarpo, come da una lacera veste color noce o color cuoio, ma esilissima: cucinato a regola, dà luogo a risotti eccellenti, nutrienti, ricchi di quelle vitamine che rendono insigni i frumenti teneri, i semi, e le loro bucce velari. Il risotto alla paesana riesce da detti risi particolarmente squisito, ma anche il risotto alla milanese: un po' più scuro, è vero, dopo l'aurato battesimo dello zafferano.

Recipiente classico per la cottura del risotto alla milanese è la casseruola rotonda, ma anche ovale, di rame stagnato, con manico di ferro: la vecchia e pesante casseruola di cui da un certo momento in poi non si sono più avute notizie: prezioso arredo della vecchia, della vasta cucina: faceva parte come numero essenziale del «rame» o dei «rami» di cucina, se un vecchio poeta, il Bussano, non ha trascurato di noverarla nei suoi poetici «interni», ove i lucidi rami più d'una volta figurano sull'ammattonato, a captare e a rimandare un raggio del sole che, digerito il pranzo, decade. Rapitoci il vecchio rame, non rimane che aver fede nel sostituto: l'alluminio.

La casseruola, tenuta al fuoco pel manico o per una presa di feltro con la sinistra mano, riceva degli spicchi o dei minimi pezzi di cipolla tenera, e un quarto di ramaiolo di brodo, preferibilmente di manzo: e burro lodigiano di classe.

Burro, quantum prodest, udito il numero de' commensali. Al primo soffriggere di codesto modico apporto, butirroso-cipollino, per piccoli reiterati versamenti, sarà buttato il riso: a poco a poco, fino a raggiungere un totale di due tre pugni a persona, secondo l'appetito prevedibile degli attavolati: né il poco brodo vorrà dare inizio per sé solo a un processo di bollitura del riso: il mestolo (di legno, ora) ci avrà che fare tuttavia: gira e rigira. I chicchi dovranno pertanto rosolarsi e a momenti indurarsi contro il fondo stagnato, ardente, in codesta fase del rituale, mantenendo ognuno la propria « personalità »: non impastarsi e neppure aggrumarsi.

Burro, quantum sufficit, non più, ve ne prego; non deve far bagna, o intingolo sozzo: deve untare ogni chicco, non annegarlo. Il riso ha da indurarsi, ho detto, sul fondo stagnato. Poi a poco a poco si rigonfia, e cuoce, per l'aggiungervi a mano a mano del brodo, in che vorrete esser cauti, e solerti: aggiungete un po' per volta del brodo, a principiare da due mezze ramaiolate di quello attinto da una scodella « marginale », che avrete in pronto. In essa sarà stato disciolto lo zafferano in polvere, vivace, incomparabile stimolante del gastrico, venutoci dai pistilli disseccati e poi debitamente macinati del fiore. Per otto persone due cucchiaini da caffè.

Il brodo zafferanato dovrà aver attinto un color giallo mandarino: talché il risotto, a cottura perfetta, venti-ventidue minuti, abbia a risultare giallo-arancio: per gli stomaci timorati basterà un po' meno, due cucchiaini rasi, e non colmi: e ne verrà fuori un giallo chiaro canarino. Quel che più importa è adibire al rito un animo timorato degli dei è reverente del reverendo Esculapio o per dir meglio Asclepio, e immettere nel sacro «risotto alla milanese» ingredienti di prima (qualità): il suddetto Vialone con la suddetta veste lacera, il suddetto Lodi (Laus Pompeia), le suddette cipolline; per il brodo, un lesso di manzo con carote-sedani, venuti tutti e tre dalla pianura padana, non un toro pensionato, di animo e di corna balcaniche: per lo zafferano consiglio Carlo Erba Milano in boccette sigillate: si tratterà di dieci dodici, al massimo quindici, lire a persona: mezza sigaretta. Non ingannare gli dei, non obliare Asclepio, non tradire i familiari, né gli ospiti che Giove Xenio protegge, per contendere alla Carlo Erba il suo ragionevole guadagno. No! Per il burro, in mancanza di Lodi potranno sovvenire Melegnano, Casalbuttano, Soresina, Melzo, Casalpusterlengo, tutta la bassa milanese al disotto della zona delle risorgive, dal Ticino all'Adda e insino a Crema e Cremona. Alla margarina dico no! E al burro che ha il sapore delle saponette: no!

Tra le aggiunte pensabili, anzi consigliate o richieste dagli iperintendenti e ipertecnici, figurano le midolle di osso (di bue) previamente accantonate e delicatamente serbate a tanto impiego in altra marginale scodella. Si sogliono deporre sul riso dopo metà cottura all'incirca: una almeno per ogni commensale: e verranno rimestate e travolte dal mestolo (di legno, ora) con cui si adempia all'ultimo ufficio risottiero. Le midolle conferiscono al risotto, non più che il misuratissimo burro, una sobria untuosità: e assecondano, pare, la funzione ematopoietica delle nostre proprie midolle. Due o più cucchiai di vin rosso e corposo (Piemonte) non discendono da prescrizione obbligativa, ma, chi gli piace, conferiranno alla vivanda quel gusto aromatico che ne accelera e ne favorisce la digestione.

Il risotto alla milanese non deve essere scotto, ohibò, no! solo un po' più che al dente sul piatto: il chicco intriso ed enfiato de' suddetti succhi, ma chicco individuo, non appiccicato ai compagni, non ammollato in una melma, in una bagna che riuscirebbe schifenza. Del parmigiano grattuggiato è appena ammesso, dai buoni risottai; è una banalizzazione della sobrietà e dell'eleganza milanesi. Alle prime acquate di settembre, funghi freschi nella casseruola; o, dopo S. Martino, scaglie asciutte di tartufo dallo speciale arnese affetto-trifole potranno decedere sul piatto, cioè sul risotto servito, a opera di premuroso tavolante, debitamente remunerato a cose fatte, a festa consunta. Né la soluzione funghi, né la soluzione tartufo, arrivano a pervertire il profondo, il vitale, nobile significato del risotto alla milanese.
 

Tratto da Il gatto selvatico n. 10 - agosto 1955
Dall'Archivio storico ENI

giovedì 8 settembre 2011

Del perchè si resta single 2

"...tutti coloro che sanno mangiare hanno la bocca pulita a fine pasto: essa si è ripulita o con la frutta o con gli ultimi bicchieri bevuti al dessert.” Brillat-Savarin  
- Colline tortonesi, Piemonte – Sono al primo (e ultimo) non appuntamento con un ragazzo. Ceniamo in un ristorante sulle colline vicino a Tortona la cui cucina è decaduta negli anni, ma che negli ambienti conserva il fascino della villa di campagna ottocentesca, con affreschi, boiserie e mobili antichi. La conversazione con il mio commensale non decolla e dimenticherei velocemente la serata se lui, dopo l'ultima portata, non si pulisse i denti con un'unghia come se niente fosse, sotto il mio sguardo un po' attonito. Sarà una regola del Castiglione sfuggita ai più...
"I signori gradiscono una grappa o un digestivo?" - "No!!!!! Il conto presto, devo andare!".

mercoledì 7 settembre 2011

Non voglio catene

"Io sono del partito dei neologisti e dei romantici: questi ultimi scoprirono i tesori nascosti: gli altri sono come naviganti che vanno a cercare lontano le provviste di cui hanno bisogno.” Brillat-Savarin  
- Nizza Monferrato – A pranzo nel ristorante che si affaccia sulla piazza del mercato. Conosco il posto da quando ero ragazzina e nonostante l'esperienza di oggi non sia stata esaltante (1. malgrado l'ampia sala sia semivuota mi danno il tavolo accanto alla porta ad ante della cucina 2. la suddetta porta viene spalancata dal personale di sala -col piede- circa 10 volte al minuto -le ho contate- con conseguente forsennato sventolio, aria sul mio povero collo e giramento di testa -e di altro- 3. le porzioni si sono molto ridotte rispetto ai miei ricordi: la carne cruda, seppure buona, non è più la cupola di Brunellesche proporzioni e i tajarin, sottili e di giusta cottura, sono ridotti a una matassina che fa venir fame più che placarla 4. ho la spiacevole sensazione che le porzioni ridotte siano un modo per indurmi a ordinare secondo e dolce, senza capire che la posizione del tavolo non mi fa desiderare di rimanere il tempo necessario per gustarmi quattro portate 5. una cucina sempre uguale è rassicurante... soprattutto per la clientela anziana), nonostante tutto ciò (non sono mancati aspetti piacevoli, come il bicchiere di Barbera Superiore Vinchio e Vaglio dalla fornita cantina e vicende esilaranti, come la coppia di nonni del tavolo a fianco che raccontano al nipotino adottivo di esotica nascita le avventure di Paride e intanto gli insegnano il galateo), ebbene preferisco che sopravvivano locali come questo (certi provincialismi si registrano persino negli stellati, quindi a Nizza sono in buona compagnia), piuttosto che vederne un giorno rimpiazzata l'insegna da quella di una grande catena di gelati. Sta succedendo ovunque nei centri storici italiani, con la conseguente messa a morte delle antiche drogherie, pasticcerie, gastronomie, ristorantini, librerie indipendenti ecc., sostituiti da catene alimentari e di abbigliamento che solleticano l'avidità dei proprietari degli immobili pagando affitti altissimi. E l'omologazione dell'offerta e dei comportamenti è garantita.

domenica 4 settembre 2011

Effetto piercing

“...non ci vogliono tanti preparativi per fare una buona tavola.” Brillat-Savarin  
- Asti – Torno sempre volentieri ad Asti, il centro storico è grazioso e in estate arrivano persino i turisti, così mentre si prende un aperitivo al bar (con buoni vini ma tartine da dimenticare) si ha l'impressione di essere in vacanza. Non mancano comunque le avventure gastronomiche demenziali, come quella volta che ho pranzato in un ristorante del centro che cita gli angeli nell'insegna. Ci ero già stata, ma prima che traslocasse nella sede attuale e nel cambio, come a volte accade, il locale ci ha perso. Nell'atmosfera, perchè vorrebbe giocare sul contrasto fra antico (open space e mattoni a vista, belli, rammendo sulla tovaglia, brutto) e moderno (ai tavoli lattee sedie inutilmente girevoli fanno venire il mal di mare) senza riuscirci. Nel servizio, perchè il desiderio di rinnovamento si è esteso anche al personale, trascurando però di prepararlo in modo adeguato. Il cameriere del mio tavolo era un giovane aitante adatto a fare tanti mestieri (bagnino, guardacoste, forestale ecc.) ma non a servire: camminava sul rimbombante parquè con passo marziale enfatizzato da stivaloni a punta alla Easy rider e mentre porgeva i piatti mostrava un piercing che gli trapassava un sopracciglio. Roba da far passare l'appetito. Neanche la cucina offriva consolazione e sembrava un po' disorientata. I buoni sapori della precedente visita sembravano essersi persi, come il suono dei tacchi del cameriere-stallone nell'open space finto trendy.

venerdì 2 settembre 2011

Piovono aragoste

Fotografia © Brillante-Severina

“La dieta ha un effetto importante sui sogni.” Brillat-Savarin  
- Torino – Non si sa se la Pixart si sia ispirata a loro in Alla ricerca di Nemo o se viceversa i protagonisti di questa storia abbiano ideato l'evasione dopo aver visto il cartone animato, fatto sta che un giorno a Torino le persone che camminavano su un marciapiede si sono viste piovere addosso un buon numero di aragoste, tanto da non saper più se dirsi sveglie e sognanti. Gli arzilli crostacei, le cui gesta sono state immortalate anche dalla stampa cittadina, erano in allegra fuga dalla cucina di un ristorante le cui finestre si affacciavano sulla via. Probabilmente avevano puntato le antenne in direzione Po, con sosta in piazza Castello per un bicerin e poi ai Murazzi per un concerto a suon di nacchere-chele, e avevano come meta finale un tuffo carpiato nel mar Adriatico. Perchè non sono mai sotto la finestra giusta quando c'è un'ittica evasione in corso?

giovedì 1 settembre 2011

La classe non è Sherry

“Tutti gli uomini, anche quelli che si è convenuto di chiamare selvaggi, sono stati così fortemente tormentati dalla bramosia delle bevande forti, che sono riusciti a procurarsene per quanto limitate fossero le loro cognizioni.” Brillat-Savarin  
- Piacenza – Se certe storie uno volesse inventarle, non arriverebbe mai a riprodurre la realtà. Accade in un celebrato e stellato ristorante cittadino che un uomo alla fine di una lauta cena chieda un bicchiere di Sherry per chiudere in bellezza la serata e si senta rispondere che la bottiglia non viene stappata per un solo bicchiere ma solo "venduta intera". Se sia prevista la rateizzazione non si sa. L'uomo rimane basito, anzi è proprio incredulo, ma per fortuna il sommelier non è un essere insensibile e crudele: una vecchia bottiglia di Sherry arrivata da un pezzo al capolinea si materializza sul tavolo e il cliente ottiene l'agognato bicchiere di... svaporato e sabbioso liquido. La classe non è...

mercoledì 31 agosto 2011

Nomi e cognomi

“...sono in mano a una cuoca di lusso le cui preparazioni mi guastano lo stomaco.” Brillat-Savarin  
- Roma – Cronaca della cena nello stellato Mirabelle la sera del 13 agosto 2007. È il mio compleanno e decido di restare a Roma anche se sono da sola. Prenoto al Mirabelle con una settimana di anticipo, chiedendo di poter conoscere lo chef la sera della cena e ricevendo una risposta entusiasticamente affermativa.
La sera del 13 salgo in ascensore al ristorante dove mi accoglie una giovane donna che prima mi accompagna a un tavolo in un angolo e poi ci ripensa e mi fa riattraversare il salone (vabbè, l'ambiente, fra specchi tappeti e arredi, è degno di ammirazione e poi sfoggio i sandali col tacco, penso) per un tavolo -migliore- in terrazza. Arriva il maitre, non quello celebre del ristorante ma il suo abbronzato vice, credo. E iniziano le comiche. Lui esordisce rinnegando l’esistenza di un qualsivoglia Menu degustazione (peccato che il sito web all'epoca ne elenchi ben undici: Sole Giove Marte Luna ecc.). Quando poi gli chiedo di poter conoscere Giuseppe Sestito, risponde con supponenza che lo chef è troppo occupato e che non può certo lasciare la cucina (ma io non ho fretta...). 
Nonostante queste belle premesse, ordino i tre piatti più cari della carta. Un po’ perché è il mio compleanno e un po’ perché voglio farmi un parere assaggiando quelli che loro considerano – presumo ingenuamente - i fiori all’occhiello del menu.
Non mi viene servito alcun appetizer, se non un aperitivo - da me richiesto e servito da un cameriere - accompagnato da mignon salati che magari farebbero bella figura al bar, ma non su una tavola stellata. Giungono poi vari tipi di pane e l’antipasto: una discreta scaloppa di fegato d’anatra banalmente contornata di lamponi e tocchetti di pesca. Consumatane con estrema lentezza ormai tre quarti, si presenta, per la prima volta dall’inizio della cena, il sommelier chiedendo se sia magari gradito un vino dolce in abbinamento. Declinata l’offerta, tardiva come certe uve che ben si sarebbero accompagnate alla scaloppa, la scelta per il vino della cena cade su una bottiglia di Verdicchio dei Castelli Jesi Classico Riserva doc, della quale riuscirò a bere solo poco più di un quarto. 
La cena prosegue con tortiglioni di pasta di debole cottura (anzi, crudi) conditi con salsa di pomodoro, polpa di astice e generosissime manciate di sale, seguiti da un piccione in crosta con imbottitura di spinaci di morbidezza inversamente proporzionale alla sapidità, forse per compensare quella eccedente dei tortiglioni. 
Quando il cameriere ritira i piatti non mi lamento, ma il vice maitre viene a provocarmi: “Tutto bene signora?” Il sommelier che si presenta a metà cena, la pasta cruda, il piccione sciapo e stoppaccioso, mi prende in giro? 
Il vice maitre è costernato (dice lui) e arriva a confondersi perché salta fuori che in cucina c’è solo il sous chef di Sestito (io a rovinarmi il compleanno nel suo ristorante e lui a godersi le vacanze in un posto migliore, bravo…). Gli chiedo il nome di questo sous chef (mica per metterlo al muro, mi serve per la scheda della recensione dove lo indico sempre), ma lui rifiuta di rivelarlo, neanche fosse l’ingrediente segreto del piccione in crosta e in risposta al mio sguardo interrogativo sussurra: “devo tutelare il ragazzo”.
Ormai delusa dalla piega che ha preso la serata, gli faccio presente che al momento della prenotazione avevo esplicitamente richiesto di poter conoscere lo chef. Sarebbe stato sufficiente dirmi della sua assenza (avevano il mio cellulare) e io non sarei andata. Come se non fosse lui il responsabile del ristorante ma quel poveraccio del telefonista, il vice maitre mi chiede di rivelargli il nome della persona che ha preso la prenotazione per provvedere personalmente a...  a questo punto io desidero solo andarmene. Di dolci non voglio neanche sentir parlare e il conto finale (scontato dei vilipesi tortiglioni detratti, ma prontamente rimesso in equilibrio con 8 euro addebitati per una bottiglia di acqua minerale mai ordinata e di conseguenza mai arrivata in tavola) è di 120 euro per nulla ma proprio nulla di memorabile, tranne il panorama offerto dalla terrazza, che per fortuna non è l’unica a Roma.
“Spero che vorrà venire nuovamente a trovarci” mi saluta il vice maitre mentre esco e io penso alla battuta di Jane Russel in Gli uomini preferiscono le bionde: “Trattenete il fiato finchè non torno”.

lunedì 15 agosto 2011

Pranzo di Ferragosto

“...l'ora dell'appetito era passata. Eravamo come stupiti di cominciare il pranzo a un'ora così indebita...” Brillat-Savarin  
- Piemonte – Diversi anni fa, in un mercatino dell'antiquariato, trovai un libro sui castelli piemontesi pubblicato nel mio anno di nascita. Le foto erano soprattutto in bianco e nero con qualche eccezione a colori per affreschi e quadri. Lo acquistai e decisi di tornare nei luoghi dei castelli per rifotografarli e scoprire quanto erano cambiati. Disegnai una mappa (ancora oggi conservata nel mio stradario) e a ferragosto partii in macchina per il giro fotografico dei castelli. I giorni del navigatore erano ancora lontani e scelsi di cominciare con i territori più vicini: le province di Alessandria e Asti. Faceva molto caldo, ovviamente, e con me avevo acqua e qualche cracker. "Mangerò in qualche trattoria o bar che troverò sul percorso" pensai... E pensai male. I castelli erano silenti e affascinanti, arroccati in cima alle colline o crogiolati nel centro dei paesi e l'immobilismo generato dalla festività conferiva ai luoghi quello spleen tutto piemontese che si legge nei romanzi di Pavese. Le piazze e le vie, per non dire delle rocche, sembravano identiche a quelle del mio libro, come se un incantesimo avesse fermato il tempo e gli anni non fossero trascorsi. Si incontravano pochissime persone, i negozi e i bar erano chiusi. Quando la fame iniziò a farsi sentire mi affacciai a qualche ristorantino per chiedere se avevano un tavolo. Niente da fare, tutto prenotato. Proseguii a digiuno il mio pellegrinaggio fra torri merlate e ponti levatoi (nessuno dei castelli era aperto), annusando nell'aria il profumo sempre più intenso dei barbecue e le voci delle famiglie riunite intorno alle grigliate. Solo verso le cinque del pomeriggio arrivai a Castelnuovo Don Bosco, un paese abbastanza grande per non essere deserto e dove non ero mai stata. Dopo averlo esplorato, il fiuto gourmet mi fece scoprire una creperie molto graziosa (i ripiani dei tavoli in vetro incorniciavano fumetti a colori e le pareti erano allegre e colorate) dove mi diedi a meritati bagordi dolci e salati. Ogni anno, all'avvicinarsi del Ferragosto, fantastico su quei castelli e sul mio progetto di fotografarli, ma la voglia di ripetere l'esperimento di tanti anni fa non l'ho ancora trovata. Merito forse dell'accoglienza piemontese che non trovò un coperto per una persona di passaggio il giorno di ferragosto.

sabato 30 luglio 2011

Speed aperitif

“...i veri amatori centellinano il vino... perchè a ogni sorso, quando si fermano, hanno l'intera somma di piacere che avrebbero provato se avessero inghiottito il bicchiere d'un tratto.” Brillat-Savarin  
- Pavia – Da alcuni mesi avevo notato l'apertura di un nuovo bar vicino a corso Garibaldi, tra le mie vie pavesi preferite. Oggi avevo deciso di andarci, per godermi un aperitivo con vista su chiesa sconsacrata offerto dai tavoli esterni. Entro e chiedo alla giovane cameriera se posso sedermi fuori a uno dei posti che vedo liberi. A quanto pare però sono riservati. Alla domanda "Quanto tempo si fermerebbe?", anche se è posta in buona fede e nel tentativo di accontentarmi, saluto e giro i tacchi delusa. L'aperitivo veloce per lasciar posto ai prossimi, grazie no.

venerdì 15 luglio 2011

Elogio delle drogherie

“...i cibi siano scelti ottimamente...” Brillat-Savarin  
- Roma – Nel febbraio del 2006 mi sono trasferita a Roma per un lavoro in un'agenzia pubblicitaria. Durante la settimana gli orari erano impossibili e non avevo mai tempo per la spesa, ma il sabato, che per me è sempre stato un giorno sacro, andavo a fare scorta di "cibi buoni". O quasi. Una delle mie mete preferite era Castroni (quello in via Cola di Rienzo, il più fornito) dove ad attirarmi erano soprattutto le coloratissime scatolette di latta o cartone che custodivano prodotti provenienti da paesi esotici e lontani. Spesso il contenuto si rivelava talmente deludente (ricordo ancora certe amarognole foglie di vite della Grecia con un ripieno insipido) che a un certo punto iniziai a comperarle solo per adornare la dispensa, alla quale i colori accesi davano allegria. Una scatola gialla con un gambero rosso disegnato sopra prometteva nuvole al profumo di crostacei, una latta turchese custodiva nordiche aringhe, vasetti dai tappi color cipria imprigionavano patè di bosco, cortile e mare. Il fatto che quelle confezioni fossero sempre intatte e disponibili costituiva un sogno, una promessa di sapore, che non era obbligatorio mettere alla prova.

lunedì 27 giugno 2011

L'arte della pizza al tegamino

“... la memoria ricorda le cose che hanno lusingato il suo gusto; la fantasia quasi le vede: c'è in tutto questo qualcosa del sogno.” Brillat-Savarin  
- Piemonte – Quando ero bambina, almeno una domenica al mese con i miei genitori andavamo in macchina ad Alessandria in una certa pizzeria per mangiare la pizza al tegamino. Il viaggio mi sembrava lunghissimo (in realtà durava solo mezz'ora) e noioso (per ingannare il tempo in inverno contavo i nidi sui rami spogli degli alberi), ma era ampiamente riscattato dalla pizza: soffice, succulenta e saporitissima con la sua giusta dose di (tanto) formaggio e salsa ben distribuiti su tutta la superficie (mica solo al centro come su un bersaglio). Erano caratteristiche costanti, sulle quali si poteva sempre fare affidamento e perciò si ritornava, un mese dopo l'altro. La pizza al tegamino evoca ancora in me il ricordo e il sogno di quella che mangiavo nelle gite domenicali con i miei, e assaggiarla oggi mi regala spesso delusioni.

domenica 26 giugno 2011

Basta un poco di Prosecco e la pizza va giù...

“La gastronomia considera il gusto nei suoi piaceri come nei suoi dolori.” Brillat-Savarin  
- Asti, Piemonte – La cosa più buona della pizza al tegamino mangiata sabato sera nel ristorantino di Eataly prima di andare al cinema, era il Prosecco che ci ho bevuto sopra.

sabato 25 giugno 2011

L'attesa

“Quando un corpo commestibile è introdotto nella bocca, tosto è confiscato, gas e succhi, senza speranza di ritorno.” Brillat-Savarin  
- Asti, Piemonte – Arrivo in città a metà pomeriggio per un pacifico giretto con aperitivo, ma scopro che al cinema danno il film Noi credevamo di Mario Martone che voglio vedere. Lo spettacolo serale inizia alle 21.00 e sono solo le 17.15... per ingannare l'attesa bevo un Arneis sotto il tendone di un bar nella piazza del duomo, me ne vado quando al tavolo a fianco arriva un signore che si pulisce le orecchie col mignolo mentre legge gli annunci immobiliari, acquisto una collana che non mi serve e alcune scatole di tè che mi servono, non mi accorgo che la cassiera ha sbagliato -ovviamente in eccesso- il conto, bevo un secondo aperitivo da Eataly e, visto che è ancora presto, lo rinforzo con una simil-pizza e un Prosecco, dribblo il cameriere che vuole farmi prendere un dolce o almeno un caffè, chiedo il conto, rimando indietro una banconota da 10 euro che sembra uscita da una delle sette fatiche di Ercole... e finalmente conquisto la poltroncina in velluto rosso sulla quale resto per le successive tre ore. I sacrifici etilici che tocca fare per il cinema...

lunedì 20 giugno 2011

Il pesce crudo incontra l'anguria

Fotografia © Brillante-Severina
“...se i nostri trisavoli mangiavano i cibi crudi, noi non ne abbiamo perduto del tutto l'abitudine.” Brillat-Savarin  
- Milano, Lombardia – Spuntino nel nuovo ristorante milanese di Fabio Baldassarre: il pesce crudo incontra l'anguria (e lo Champagne).

domenica 19 giugno 2011

Se il vino olezza di tappo

“Le cognizioni gastronomiche sono necessarie a tutti perchè tendono ad aumentare la quantità di piacere a loro destinata.” Brillat-Savarin  
- Tortona, Piemonte – Una domenica di giugno alle ore 20.00 passate, nell'addormentato centro di Tortona con un amico cerchiamo un posto dove bere un aperitivo. Con piacere scopriamo che un'enoteca è aperta e ci arrampichiamo sugli sgabelli sistemati fuori. Scegliamo, tra i vini offerti al calice che ci vengono elencati, un Traminer della Basilicata che ci viene servito già versato nei bicchieri. Ancor prima di sorseggiarlo, sentiamo un forte odore di tappo e all'assaggio il vino si conferma sgradevole. Chiamiamo la cameriera e - con tono civilissimo e a voce non udibile dal tavolo vicino - le diciamo che il vino ha un problema. Lei ci guarda male, neanche ci fossimo sbafati una dozzina di ostriche e avessimo poi protestato che non eran fresche, porta via i bicchieri (pieni) e con aria glaciale ce ne serve altri due, questa volta accettabili. Domanda per chi ha stappato la bottiglia: gestisce un'enoteca e non assaggia (né annusa) i vini che fa servire ai tavoli? O spera che nessuno abbia un minimo di cognizioni enogastronomiche o che non gli funzioni l'olfatto? Sulla cameriera e il suo atteggiamento, ogni commento è superfluo. Visto che tutto sembra sottosopra, forse ci si è rivelato il vero significato del nome dell'insegna.

venerdì 17 giugno 2011

L'arte di tacere

"Coloro che fanno indigestione o si ubriacano non sanno nè bere nè mangiare." Brillat-Savarin 
- Rivoli, Piemonte - Mentre aspetto (da oltre un'ora) che lo chef sia pronto a cucinare il piatto che devo fotografare, un cameriere mi intrattiene con la sua personale idea di arte della conversazione. Mi dice di essere stato a Roma di recente e di averla trovata bellissima (incredibile). Gli chiedo cosa lo ha colpito maggiormente, quale luogo, monumento o ristorante. Risponde che gli sarebbe piaciuto vedere di più ma ogni sera aperitivi, bevute e danze duravano sino all'alba e quando si alzava... era già ora di ricominciare con aperitivi, bevute e danze. Ah ecco... interessante davvero, che fortuna esserne stata messa a parte. Nonostante il soggetto sia lontano dall'avere un fisico alla Tony Manero, evocherò volentieri lui e la scenetta la prossima volta che un cameriere di ristorante pluristellato o il suo chef si daranno troppa importanza. Nel frattempo, non è mai troppo presto per leggere il delizioso saggio dell'abate Dinouart: L'arte di tacere. E per gli esaltati recidivi: Ho servito il re d'Inghilterra, di Bohumil Hrabal.