- Roma – Nel febbraio del 2006 mi sono trasferita a Roma per un lavoro in un'agenzia pubblicitaria. Durante la settimana gli orari erano impossibili e non avevo mai tempo per la spesa, ma il sabato, che per me è sempre stato un giorno sacro, andavo a fare scorta di "cibi buoni". O quasi. Una delle mie mete preferite era Castroni (quello in via Cola di Rienzo, il più fornito) dove ad attirarmi erano soprattutto le coloratissime scatolette di latta o cartone che custodivano prodotti provenienti da paesi esotici e lontani. Spesso il contenuto si rivelava talmente deludente (ricordo ancora certe amarognole foglie di vite della Grecia con un ripieno insipido) che a un certo punto iniziai a comperarle solo per adornare la dispensa, alla quale i colori accesi davano allegria. Una scatola gialla con un gambero rosso disegnato sopra prometteva nuvole al profumo di crostacei, una latta turchese custodiva nordiche aringhe, vasetti dai tappi color cipria imprigionavano patè di bosco, cortile e mare. Il fatto che quelle confezioni fossero sempre intatte e disponibili costituiva un sogno, una promessa di sapore, che non era obbligatorio mettere alla prova.
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