Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.
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venerdì 3 luglio 2015

(Non) me ne lavo le mani

Prima foto a sinistra: bagno del ristorante stellato (!); nelle altre foto: bagno del ristorante non stellato
"...le cose buone sono fatte per la gente buona..." Brillat-Savarin
Lago d'Orta, Piemonte e Savona, Liguria - Nel giro di una settimana mi trovo a recensire due ristoranti, uno bi-stellato-cappellato-forchettato in Piemonte e uno senza stelle a Savona. Il confronto fra i bagni dei due locali è impietoso, e a tutto svantaggio dello stellatissimo. Nel locale piemontese fregiato di encomi gourmet infatti i bagni sono angusti e disadorni. Le dimensioni delle toilettes sembrano ispirate a quelle degli autogrill, cubicoli nei quali prima devi entrare e poi chiudere la porta dietro di te e quanto all'estetica, ogni parete, comprese quelle dell'antibagno, è rivestita di piastrelline quadrate non più di moda da decenni, disposte in sfumature di rosa che vanno dalla camelia al fucsia acceso. La cosa più "esilarante" è però il sapone: due flaconi di banale quanto economica marca da supermercato, posati sul lavandino nel loro contenitore di plastica senza neanche il disturbo di un travaso in dispenser più elegante (e consono ai prezzi di un locale dove il piatto più economico costa 38 euro e non esistono bottiglie di vino sotto i 60); uno dei due flaconi è per giunta vuoto, malgrado in sala non vi sia ressa, ma un solo tavolo occupato oltre al mio. Un'orchidea, ovviamente rosa acceso, si mimetizza con le ceramiche e c'è da chiedersi quanto camperà in un ambiente privo di finestre. Il ristorante savonese, di più recente apertura, offre bagni anch'essi cechi ma almeno spaziosi e il cui decoro è stato oggetto di studio. Le mura delle toilettes sono ingentilite con carta da parati e specchi appariscenti e l'antibagno è un profluvio di saponi, giare e candele profumate, coroncine di foglie, fiori secchi infilati in vasi dipinti e tutto ben armonizzato. A terra, invece del solito cesto dove gettare gli asciugamani usati, c'è un elegante contenitore in pelle con accanto uno sgabello dove posare la borsa mentre ci si lava le mani. La morale la lascio a chi dopo tanti anni dall'aver aperto un ristorante con pretese di eleganza compra il sapone al discount e non ha neanche più voglia di nasconderlo (e a chi attribuisce due stelle senza... in bagno entrare?).

martedì 8 luglio 2014

L'arancia non fa miracoli

Immagine tratta dal web e rielaborata
Roma, dalle parti di via della Pace - Devo scrivere un articolo su un locale che per una serie di motivi mi piace tanto. Pur trovandosi in una zona ad alta concentrazione di qualunquismo turistico è accogliente sia per il personale cordiale sia per l'arredamento che, mescolando vintage e moderno, è molto vicino al mio gusto. Poi è aperto per colazione, pranzo e cena e anche la domenica. Una vera oasi nel quartiere di piazza Navona. Che va premiata. L'ultima volta che ci sono stata a cena, per giunta in compagnia di un'amica con la quale tenevo a far bella figura, ho però avvertito un cambiamento nella cucina, una nota diversa che è divenuta stecca nel piatto meno felice e facile, l’anatra laccata all’arancia, cotta a bassa temperatura -e fin qui nulla di male- e presentata non a fette ma in uno spesso trancio color sangue visivamente poco allettante e di sapore marcatamente selvatico che per la timida dolcezza della laccatura di agrume era impresa impossibile riuscire a stemperare. Prove arzigogolate di diplomazia.

venerdì 6 settembre 2013

lunedì 8 luglio 2013

La versione di Brillante (e la seppia carcerata)

Seppie battute con pasta al nero e crema di lattuga © Brillante-Severina
"Queste riunioni, limitate dapprima ai parenti più stretti, si sono estese via via ai vicini e agli amici"  Brillat-Savarin
Via Veneto, Roma - Secondo giorno a Roma e secondo ristorante, senza anonimato visto che non c'è in ballo la Guida, in un hotel di via Veneto. È anche la sera in cui degli amici di Napoli sono in città e sarebbe bello riuscire a vederli per un saluto. Raggiungerli per l'aperitivo è impossibile perché come ormai accade da alcuni giorni, nel tardo pomeriggio i monsoni portano la pioggia. Armata di ombrello arrivo alla fermata dei taxi e sopravvivo sia alla corsa sia al conducente che mi rivela una forte passione per il vino (aiuttttttt). Dopo un giro inspiegabilmente lungo arriviamo, oltrepasso la porta a vetri, scendo i gradini (obbligatori quando porti i tacchi) e varco con ragionevole titubanza l'ingresso dove però trovo subito il maitre giovane e molto gentile che mi riserva un'accoglienza da manuale. Mi accompagna a un tavolo al margine della sala ma che immagino sia stato scelto per ampiezza e comodità: è infatti inserito in una nicchia e ha il divanetto. Subito dopo arriva il cuoco giapponese per conoscermi. Mi intrattengo volentieri a parlare, anche se sotto la tovaglia i piedi sono attorcigliati (ho fretta ma non voglio che si capisca). Chiedo allo chef quali piatti mi consiglia e lo vedo in imbarazzo, forse in Giappone non si chiede... mi avverte che il più ricco dei tre menu degustazione, da nove portate, richiede tre ore fra preparazione e servizio che sommate ai miei tempi lenti di masticazione mi fanno capire che non è serata. Scelgo il degustazione di mare da quattro portate più una di terra. Mentre bevo uno Champagne e cerco di foderare lo stomaco con piccole sfoglie e tozzi di pane immersi nell'olio, lancio occhiate a tablet e cellulare per scoprire che il primo è isolato e l'altro invece anche. Come faccio a tenermi in contatto con gli amichetti che mi aspettano non so dove nella grande città? Le portate del menu arrivano a ritmo sostenuto (vi va bene che per l'unica volta in vita mia ho fretta): appetizer di crema delicatamente amarognola con gnocco solitario e misticanze, a me, seppia in tenuta carceraria, arrenditi, spaghetto burro e alici con spolvero di tonno giapponese essiccato che in Italia non si trova e neanche si pronuncia perché somiglia a una parolaccia (kazuo bushi), veniamoci incontro (tu non mi schizzi e io mi ti finisco). Pausa, fermate la cucina (più che espressa, ad alta velocità), devo uscire a telefonare... come non detto, il cellulare dell'amica è irraggiungibile, lascio un messaggio in segreteria e ricominciamo. Le due portate successive arrivano alla velocità delle luce e mi viene il sospetto che anche lo chef abbia appuntamento con gli amici dopo cena. A che punto eravamo? Pre dessert, dessert e sono le 23.00 passate. Gradisce un distillato? Magari! Ma devo andare... Anzi no, lo chef vuole venire a sentire come è andata la cena. Sono piemontese cortese ma sincera, è stato tutto buono (magari la prossima volta gli spaghetti del kazuo però li salto) e giù a parlare, raccontare della difficile piazza romana, dei gusti degli sceicchi (già, quando puoi avere tutto, cosa scegli?) e delle sue esperienze sfortunate con i "comunicatori" (tranquillo, io pago...) e scambiare biglietti da visita con inchino e chiedere il conto e trovarci un errore e lasciare la mancia e alzarsi da tavola senza inciampare nella tovaglia. Taaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaxi. Un giovane uomo asiatico vestito come nelle antiche stampa indiane, mi accompagna al taxi. Salgo e finalmente mi attacco al telefono che prima mi mostra l'arrivo di dieci messaggi e poi... muore. Non è possibile! Il tassista riceve una telefonata, è la mamma (sua), va tutto bene. Se gli chiedessi di poter usare il suo cellulare? Così potrei andare al rendez vous con gli amici direttamente, ma no, mi vergogno, mi faccio portare a casa dove potrò mettere in carica il cellulare e chiamarli. Pago senza fare una piega la tariffa mostruosa (son mica Creso, neh), mi arrampico per gli otto piani di scale a piedi sui tacchi favorendo l'amicizia della seppia con il dessert e in stato ormai semi incosciente apro la porta e cerco il caricatore. Squilli, voce di amica che mi chiede dove mi trovo. Non sono ancora partiti e possono venirmi incontro a Castel Sant'Angelo. Metto giù, mi scapicollo in discesa per le scale aggrappata al corrimano come un pappagallo al trespolo e finiti gli interminabili gradini guardo i sanpietrini con occhi nuovi. Quando arrivo al Ponte di Castel Sant'Angelo aguzzo la vista per riconoscere il trio e, facendo penzolare il ciondolo sbirluccicante, scruto ogni macchina che si avvicina creando forse qualche equivoco ...continua (con la versione degli amici)

domenica 23 giugno 2013

Alza la cresta

Finanziera con cresta di gallo © Brillante-Severina
"...non si circonda di cortine che lo costringerebbero a respirare cento volte la medesima aria..." Brillat-Savarin 
Un giorno salta fuori che io e il capo regione piemontese della Guida non la pensiamo allo stesso modo su un ristorante che per me è stato fra i migliori della "stagione". Questo capo regione mi è simpatico perché che con lui si possono avere frequenti scambi di opinione (ah, e anche per il fatto che nell'ultima riunione mi ha presentata al novellino appena arrivato come una delle storiche e più autorevoli collaboratrici della Guida, facendomi quasi cadere dalla sedia girevole) e il fatto che le sue critiche si basino su frequentazioni più numerose delle mie al ristorante in oggetto mi smonta un po'. Scherziamo sul fatto che forse la bellezza del luogo mi ha obnubilata, eppure sono stata in posti ugualmente se non più belli, senza perdere lucidità sulla cucina e sul servizio, Quindi alzo ugualmente il voto. E la cresta.

venerdì 21 giugno 2013

Sul faggio affumicato con gran vantaggio

Bouillabaisse di lago © Brillante-Severina
"...sente che ha bisogno di far partecipare altri alla propria vita." Brillat-Savarin
Isola Bella, Piemonte - Sulla terrazza di palazzo Borromeo una signora tedesca mi chiede se le scatto una fotografia. Avviamo una simpatica conversazione un po' in italiano e un po' nella lingua di Albione (vista la mia professione, l'inglese maccheronico mi è concesso) e lei mi parla del viaggio che sta facendo, fra indirizzi già noti e altri da cercare. Quando mi chiede se so consigliarle un ristorante in zona, penso che è proprio il suo giorno fortunato. Le parlo del posto dove ho cenato la sera prima, un posto dove i galli alzano la cresta su colline di purea che nascondono un cuore che in realtà è un paté dei loro fegatini, e di salmoni affumicati più preziosi dell'oro e perciò presentati in forma di lingotti e incoronati di fiori, e di una bouillabaisse nella quale i tranci di svariati pesci d'acqua dolce si intrecciano ai cipollotti per innalzare una palafitta sulla salsa vinosa, e di un'anguilla che si sgrassa sulla brace per poi saltare nel sacchetto del sottovuoto a crogiolarsi con il quartetto olio, alloro, aglio e rosmarino e infine trova pace sulla salsa di vitello all’arancia, e di un capretto che paziente si affumica sul legno di faggio con suo gran vantaggio, e... credo di averla convinta perché mi mette sotto il naso un foglietto e una penna affinché le scriva il nome ...continua

mercoledì 19 giugno 2013

Morsi e (ri)morsi

Vitello ronnato, burro all'aglio ursino © Brillante-Severina
"Che fortuna avere un buon appetito quando c'è la certezza di far presto un pranzo eccellente!" Brillat-Savarin
Piemonte occitano - L'appetizer della cena è accompagnato da una ciotolina di burro verde. È aromatizzato all'aglio ursino. Mi dicono che lo vanno a cercare e raccogliere personalmente in montagna, in concorrenza con le mucche che, ghiotte di quest'erba selvatica, quando salgono al pascolo la divorano senza risparmio. La crema verde, morbida al punto giusto, delicata ma non timida, mi pare ancora più preziosa e la tengo al tavolo per tutta la cena. L'aglio si crogiola nel burro, il burro sul pane e io spalmo senza (ri)morsi ...continua

domenica 2 giugno 2013

Se sei donna sei groupon

  Alassio, Liguria © Brillante-Severina
"Il buongusto non disdice affatto alle donne..." Brillat-Savarin
Liguria di Ponente - Con un'amica si decide di pranzare in un ristorante stellato per stare insieme e farci un regalo. Ci mettiamo in ghingheri e saliamo sul treno intercity, destinazione Liguria di ponente. Colazione ai tavoli all'aperto di una pasticceria storica e tante parole di speranza e timore sulle nostre vite in un tempo incerto. Alle 13.00 in punto suoniamo alla porta del ristorante e veniamo accompagnate in un salotto elegante dove il cuoco in persona ci porge due menu aperti a una pagina precisa. La pagina è quella di una proposta di degustazione diversa da quelle esposte fuori, senza prezzo e intitolata Groupon. Ci guardiamo stupite. Forse a pranzo i ricchi menu che abbiamo letto all'ingresso non sono disponibili e vengono sostituiti da questo? E il titolo? Fa dello spirito con riferimento a un sito che vende esperienze gourmet in saldo? Lo spirito non c'entra e lo conferma il cuciniere nerovestito (non per questo snellito) quando ci dice che quello è il menu riservato proprio ai clienti Groupon. Ci piacerebbe sapere cosa abbia fatto credere a questo cuoco, il quale evidentemente aspettava quattro persone a pranzo, che noi siamo le clienti "scontate". Mi limito a un finto ingenuo "Cos'è Groupon?" che lo disorienta e fa ricomparire i menu a prezzo pieno (50 e 80 euro, a seconda del numero delle portate) e l'esclusiva carta dei vini. Non solo ha sbagliato mira, ma ha fatto la figura di quello che spedisce al coniuge la lettera destinata all'amante. Osservando durante il pranzo la coppia Groupon che nel frattempo è arrivata, registriamo che pur ricevendo un menu ridotto e vino al calice, per il resto gode di un servizio identico al nostro, pagando la metà della metà. Per ironia della sorte i due siedono allo stesso tavolo che fu assegnato a me la prima volta che venni, sola e unica cliente, in questo ristorante anni addietro... un posto di serie b, devo dedurne. Arriviamo alla conclusione che la valutazione del cuoco sia stata sessista: le donne (senza uomini) frequentano poco i ristoranti, tantomeno stellati, e quindi se osano varcarne le soglie in autonomia il pranzo lo comprano in saldo. Sconsigliato a chi viaggia Soulon.

venerdì 31 maggio 2013

C'è costoletta e cotoletta

Ho ordinato costolette d'agnello impanate alle erbe fini e mi portate tre cotolette al sangue impanate qualunquemente?
Siete equivoci

Sparecchio lento

La coppia a fianco è andata via da più di mezz'ora e sul tavolo ci sono ancora i tovaglioli e i bicchieri e i biscottini avanzati?
Siete strepitosi

Tragico e strategico tavolo

La sala del ristorante è semivuota e mi mettete nell'ultimo tavolo vicino alla cucina dal quale sento tutti i vostri discorsi?
Siete fantastici

martedì 28 maggio 2013

Il grande freddo (della sala)

Ruhm agricolo © Brillante-Severina
"La sala da pranzo sia illuminata sfarzosamente, la tavola pulitissima e la temperatura da 13 a 16 gradi Réaumur." Brillat-Savarin
Da qualche parte a Roma - Ho sempre affermato, e lo ribadisco, che mangiare da sola non mi crea problemi, tanto meno in un ristorante vuoto (e meno male, visto il deserto feriale). Però se la sala è gelata perché la primavera non ne vuol sapere di arrivare e fuori piove a dirotto e per riscaldarmi devo bere mezza bottiglia di vino con i soli antipasti, l'equilibrio "dello spirito" vacilla. Questo penso mentre la patronne del ristorante, che durante la cena si è materializzata al tavolo una sola volta al momento della scelta del vino e poi non si è più vista lasciandomi alle cure del cameriere gentile ma meteoimpermeabile, si ripresenta alla fine della serata, quando chiedo un distillato (in alternativa potrei accendere un falò?). Con intuizione esatta ma tardiva come l'uva intontita del Recioto, mi chiede se desidero che accenda il riscaldamento. Avrei preferito che me lo chiedesse due ore prima, prima che il sangue smettesse di circolare nelle dita dei piedi per concentrarsi in un solo emisfero del cervello, quello surgelato.

lunedì 20 maggio 2013

La terribile apparizione

Tagliatelle e spugnole © Brillante-Severina
"Potete immaginare come rimasi durante la terribile apparizione." Brillat-Savarin
Da qualche parte in Piemonte - Avevo notato il paese prima che il ristorante. Un giorno, tornando a casa da un servizio fotografico e un pranzo, avevo seguito la freccia gialla un po' sbiadita che indicava un castello e mi ero ritrovata ad arrampicarmi con la macchina su un piccolo borgo silenzioso e deserto. Chiesa parrocchiale con facciata rosa ondulata a ventaglio, case giallo zafferano con tendine di pizzo alle finestre, il profilo imponente del castello squadrato come un bonet (dolce tipico piemontese al cioccolato e amaretti) con rovine ricoperte da rampicanti rugginosi degno dell'attenzione di Walpole, cappella con affresco di drago calpestato dal piede in armatura del solito biondastro santo di nome giorgio. Era autunno e portai a casa un bel servizio fotografico e la scoperta di un ristorante affacciato su una delle vie che mi ero ripromessa di provare per proporne l'ingresso in Guida. Alcuni mesi dopo, una domenica di primavera, ripetevo il viaggio (circa centocinquanta chilometri), entravo nel locale accolta dalla più gentile ospitalità e trovavo un ambiente suggestivo, un servizio curato, piatti invitanti che sembravano confermare la buona scelta. Mi era stato apparecchiato un bel tavolo con vista sulla sala intera e coraggiosamente ordinavo un tris di antipasti, una pasta fresca con erbe e funghi e due secondi, di pesce e di carne e pure un dolce, crepasse l'inappetenza. La quale tosto si presentava sotto forma di capello di media lunghezza attorcigliato su se stesso sulle tagliatelle. Rimasi male.

lunedì 6 maggio 2013

Non c'è due senza tre

Agnello scottadito © Brillante-Severina
"La gastronomia considera il gusto nei suoi piaceri come nei suoi dolori..." Brillat-Savarin
Penango, Piemonte - È la terza volta in dieci anni che recensisco per la Guida questo ristorante. Del primo pranzo (anno 2003), quando il locale aveva ancora un voto alto, ricordo soprattutto un piacevole aperitivo nello spazio all'aperto affacciato sulle colline e profumato di glicine. La seconda volta la decadenza era ormai in stato avanzato e i ricordi si legano alla strada chiusa per lavori imprevisti, alla receptionist che non sapeva indicare strade alternative, al fegato grasso verdognolo (leggere Se questo è un foie gras >>), al maître che a fine pranzo mi porgeva il proprio biglietto da visita aggiungendo un ammiccante "mi chiami per qualunque necessità" (spero che aver lasciato cadere il biglietto sul viale di ingresso sia stata una risposta esauriente). Poi c'è stato il terzo pranzo, con l'accoglienza sussiegosa e poi le briciole sulla sedia, il calice di vino di aperitivo triste per servizio e scandaloso per prezzo, il maître nuovo che si ferma a parlare sempre allo stesso tavolo, la cucina migliorata ma non memorabile (della quale salvo le costolette d'agnello impanate con grissini e camomilla), l'impressione di essere in una colonia a uso di stranieri per i quali, bontà loro, tutto ciò che è italiano è pittoresco.

domenica 5 maggio 2013

Après la tartare, le deluge

Carne cruda © Brillante-Severina
"La gastronomia considera il gusto nei suoi piaceri come nei suoi dolori..." Brillat-Savarin
Penango, Piemonte - Mi trovo in un classico locale molto richiesto dagli (altri) autori della Guida. Inserito in un resort elegante, immerso nel verde delle colline, è la meta ideale per una gita domenicale fuori porta con la famiglia. Solo che io non viaggio con famiglia al seguito. Il tavolo al quale mi accompagnano è apparecchiato per due (ho prenotato, per una persona) e la sedia è coperta di briciole che spazzo via con gesto enfatico. Il maître mi chiede se gradisco un aperitivo e mi propone un calice di spumante Bianc ‘d Bianc Cocchi (costo di una bottiglia in enoteca, circa 29 euro) servito senza uno stuzzichino né un grissino ma umilmente nudo come neanche un San Giovanni nel deserto (lui, almeno, si presentava in pelliccia) e che sarà addebitato in conto per la non proprio modica cifra di dieci euro. Poi arriva l'appetizer, annunciato come un pinzimonio di verdure su crema di formaggio nel quale l'olio risulta non pervenuto. Lo avanzo quasi tutto, perché non vengo mica al ristorante per pelare le carote a bugs bunny, io. Mentre invoco lo spirito dell'Artusi affinché irrori di extravergine la cucina da toc a piedi, arriva la carne cruda, sotto forma di tre paffute quenelle con un'anima sfacciatamente agliosa, in spregio a Flaubert che definisce i profumi "barche che ci accompagnano in una dolce deriva". Gnocchetti come primo, quindi costolette di agnello a scottadito impanate servite col coltello sbagliato, con il risultato che l'unico piatto veramente riuscito non si riesce a spolpare come meriterebbe, lasciando un vago senso di frustrazione. Tutto questo, unito a dolce, acqua (cinque euro), caffè e una bottiglia di Erbaluce di Caluso (ventiquattro euro) forma un conto di novantotto euro. Che io mi scandalizzi per il conto è raro, e anche se questa è una di quelle volte in cui mi piacerebbe "esternare", tengo il profilo basso richiesto, limitandomi a prendere a cornate le piccole cose: niente mancia e porto via la bottiglia di vino anche se ne ho bevuta più di metà. Me ne vado qualche minuto prima che la pioggia cominci a cadere forte sul relais, la piscina, le sdraio, le colline. Après moi le deluge.

giovedì 2 maggio 2013

La pazienza del ragno

Calamari © Brillante-Severina
"...non feci obiezione..." Brillat-Savarin
Certosa di Pavia, Lombardia - Mi avete chiesto di rimettere in moto la macchina quando ero ormai scesa e l'ho fatto, mi avete chiesto di parcheggiarla "meglio" per lasciare spazio ai clienti ritardatari e l'ho fatto, mi avete chiesto di spostarla in un angolo angusto del cortile imbottigliandomi in una posizione che avrebbe richiesto mille manovre per uscire dopo il pranzo e l'ho fatto, mi avete chiesto di sostare a un salottino in vimini invece di accompagnarmi al tavolo e non ho detto nulla, malgrado la prenotazione e nonostante l'arrivo puntuale mi avete dato l'ultimo tavolo della sala e a chi è arrivato più tardi e senza prenotazione avete dato quelli centrali e vicino alla vetrata e non ho detto nulla, al tavolo a fianco avete piazzato l'unica coppia con bambino piccolo in passeggino e non ho detto nulla, mi avete servito un foie gras pietoso e un calamaro sciapo e non ho detto nulla, il cameriere ha servito il mio tavolo facendomi passare i piatti sopra la testa e non ho detto nulla, il solito cameriere ha portato le posate in tavola con la grazia di un babbuino e non ho detto nulla, mi avete servito una porzione di maialino tristemente presentata e priva della sua crosticina croccante caramellata (non me la sono sognata, l'ho vista nella porzione servita accanto a me) e non ho detto nulla, al tavolo vicino siete stati prodighi di attenzioni e cure (cloche sui piatti e suddetto maialino di ben altro aspetto, per esempio) e il mio lo avete trattato con sufficienza e non ho detto nulla, il proprietario ha ritenuto che passare accanto al mio tavolo e farmi l'occhiolino fosse un gesto di sollecitudine migliore che non fermarsi e parlare e non ho detto nulla, il cameriere mi è passato davanti più e più volte senza notare il calice di vino vuoto e... a questo punto la mia pazienza nei vostri confronti era davvero finita.

lunedì 15 aprile 2013

Dall'altra parte del vetro

Cappasanta foie gras sedano rapa croccante al “nero” e coulis al Pelaverga   © Brillante-Severina
"...colui il quale inventò la trattoria fu certamente... un osservatore profondo." Brillat-Savarin
San Remo, Liguria - Se invece che delle mie memorie si trattasse di quelle dei ristoratori, della mia cena scriverebbero: 
Era una serata fiacca di aprile con due soli tavoli riservati, uno da quattro e l'altro da uno, stranamente prenotato con una settimana di anticipo da una donna a nome B., probabilmente la segretaria di un businessman di passaggio, alla quale non avevamo neanche chiesto un recapito telefonico. Il tavolo da quattro, due donne francesi arrivate presto con i nipotini, alle 20.30 aveva già quasi terminato la cena, mentre l'altro alle 20.45 non si era ancora presentato. Questa sera si va a casa presto, ci eravamo detti senza dispiacere visto che il giorno dopo dovevamo alzarci presto per un corso ad Alassio. Poi alle 20.50 era arrivato un taxi e ne era scesa una donna. Di età difficile da definire, con capelli bruni lunghi e ricci e occhi di uno strano colore marino, sotto la giacca verde menta affidata al guardaroba, indossava una camicia di seta che non lasciava intravedere niente, pantaloni tipo tight e scarpe con i tacchi molto sexy e per niente volgari, notate anche dallo chef. Il signor B. che aspettavamo era dunque una lei e fu subito chiaro che non era venuta per una cena veloce. Scelto il tavolo di fronte alla vetrata della cucina a vista dove la brigata la guardava con curiosità ricambiata, ordinò il nostro menu degustazione più ricco, quello da cinque portate più appetizer e pre-dessert, accettò volentieri il calice di Prosecco di aperitivo e, contrariamente a molti nostri clienti che dopo quello si limitano a ordinarne un altro e ci fanno tutta cena, lei ne aveva già bevuto metà prima dell'arrivo dello stuzzichino e chiese la carta dei vini. Voleva un Vermentino, ma il sommelier la convinse abilmente a scegliere un più pregiato e costoso Pigato in barrique. Il fatto di essere sola non le creava imbarazzo, si trastullava con un Ipad e un giornale, ma appena la cucina posava sulla mensola davanti alla vetrata la stoviglia nella quale il piatto andava a comporsi, non aveva occhi che per quello. Lodò i nostri gamberi rossi sanremesi affumicati su legno di quercia e andò in brodo di giuggiole per la cappasanta (noi la scriviamo con una p sola) col foie gras che, normalmente trangugiata in due bocconi, con lei durò parecchio. Ripensandoci, mangiava tutto molto lentamente e la cucina lavorava col freno a mano tirato per non superarla. Quando fu la volta dei ravioli di orata in guazzetto di crostacei tememmo per la sua camicia bianca ma non osammo proporle un bavaglino e lei se la cavò. Intanto la bottiglia continuava a calare e quando chiese che fosse estratta dal secchiello perché troppo gelata era già a metà. Dopo la pescatrice avvolta nello speak con riduzione al passito, le portammo il nostro pre-dessert, un batuffolo di zucchero filato avvolto su un bastoncino infilzato in una fragola che diverte sempre i clienti e lei non fece eccezione. Visto il suo entusiasmo, le lasciammo scegliere il dolce che preferiva, ma lei rimase su quello previsto dalla degustazione, la variazione di mandarino, e volle anche provare il gelato al tabacco da pipa. Come avevamo previsto lo trovò pungente ma fu lo chef a esser punto quando gli disse che il gelato al tabacco era un dolce di battaglia della Conchiglia, lo stellato ristorante di Taggia, dove raccontò di averlo assaggiato alcuni anni prima. A mezzanotte, mentre il sous chef andava a casa e la cucina era ormai linda e immobile, lei e lo chef continuarono a parlare di cucina, Liguria e Piemonte, regione, quest'ultima, dalla quale provenivamo tutti. Lungi da mostrare stanchezza o sonno, lei chiese una grappa e lo chef, che nel frattempo si era preparato un caffè, tirò fuori due bicchierini nei quali versò il Bas Armagnac delle grandi occasioni dando fondo alla bottiglia. Quando lo chef la accompagnò a vedere il dehor lei espresse il desiderio di tornare il giorno dopo a pranzo per assaggiare il crudo di pesce che le aveva descritto, ma per fatale coincidenza era il nostro giorno di chiusura e c'era anche il corso ad Alassio quindi non potemmo accontentarla. Dopo aver pagato il conto, dal quale avevamo detratto Armagnac e caraffa d'acqua (peraltro intatta), la vedemmo salire sul taxi dal quale il guidatore, appena l'aveva vista arrivare, era sceso per aprirle lo sportello, per poi allontanarsi nella notte verso il Porto vecchio.

lunedì 28 gennaio 2013

Nutrimenti

"Il gusto... c'invita a scegliere, fra le diverse sostanze che la natura ci presenta, quelle che sono più adatte a servirci di nutrimento." Brillat-Savarin
Cammino attenta a non rimanere incastrata in un sampietrino sconnesso ma non abbastanza a schivare un incontro. Così incrocio un antiquario nella cui bottega, ai tempi dell'università, dilapidai svariate paghette settimanali per avviare una collezione di stampe antiche di quelle che se tenti di rivenderle si rivelano di scarso valore, ma che conservi perché quando le guardi a loro modo ti nutrono (e possono essere seducenti quanto le due gocce di profumo di Marilyn Monroe). Tornando all'antiquario, non mi vede da anni ma, forse per deformazione professionale, non scorda i clienti. "Sei giornalista? Ma dai! E scrivi di ristoranti? La mia passione! Voglio leggerti". Grazie per l'interesse, le gastrocritiche sono sulla Guida degli ultimi dieci anni... La Guida? No no no, lui non legge giornali di sinistra, "Portami i tuoi articoli in negozio". Solo se si ricompra le stampe.

venerdì 3 agosto 2012

Quando il cuoco è in vacanza

"Né è facile resistere così a lungo...” Brillat-Savarin  
- Italia – Fino a qualche anno fa giornali e tv si prodigavano in consigli su come affrontare la depressione da "ritorno al lavoro dopo le vacanze". Io ho il problema opposto: l'edizione annuale della Guida si è chiusa da poco e sono "in vacanza" da recensioni gastronomiche fino al prossimo inverno. Nei primi mesi si prova sollievo, pensando che finalmente si può iniziare la dieta e perdere il grasso accumulato come orsi e scoiattoli prima del letargo. Poi si inizia a sentire il formicolio: è l'astinenza da degustazione di menu gastronomici. Arriva sempre nello stesso periodo, ad agosto, quando tutti i ristoranti nei quali saresti voluta andare durante l'anno ma non hai avuto il tempo di farlo perché ne dovevi recensire tanti altri sono ormai chiusi per ferie. Non resta che indossare un abito bianco plissettato (quello di Marylin costa solo 4,6 milioni di dollari) e lasciar cadere un vaso di pomodori sulla testa del vicino di casa sperando che abbia una buona dispensa.

venerdì 6 luglio 2012

La gaia critica

Isola Bella - Giardini © Brillante-Severina
"...si domandava con meraviglia come facesse quel piccolo stomaco a contener tanta roba.” Brillat-Savarin  
- USA vs Italia – La serie tv Brothers & Sisters non è mai avara di vicende bizzarre. In uno degli episodi, lo chef californiano palestrato e omosessuale di un ristorante è in ansia per l'arrivo di un famoso critico gastronomico che ha scelto di fare una prenotazione in solitario per la sera di San Valentino (ma quando mai). Il maître del ristorante (zio anche lui omosessuale del marito dello chef) ha la bella pensata di alleviare la solitudine del critico - per pura combinazione, omosessuale pure lui - accoppiandolo con il proprio spasimante, un maturo Richard Chamberlain riesumato dalla naftalina e calato, con formaldeide e tutto, nel ruolo dell'irresistibile tenebroso che regala ai propri amanti notti memorabili (e intanto che c'è anche contagi da aids, ma il maître gli ha già perdonato tutto nelle puntate precedenti). Arriva il critico: fisiognomicamente antipatico, magro e dinoccolato come uno che non tocca un carboidrato da anni. Come chiunque -tranne il maître- avrebbe saputo prevedere, trovandosi a cena a lume di candela la sera di San Valentino con Richard Chamberlain, il critico gli fa una corte serrata, allettandolo con un week end in non so quale paradiso per recensire un ristorante (tutto spesato dal giornale, a conferma che solo nei film succedono certe cose). Al maître cadono finalmente le fette di salame dagli occhi, ci rimane male e, in un impeto di gelosia, serve ai due piccioncini una sogliola con finferli e vellutata omettendo deliberatamente di citare un ingrediente, i gamberi, potenzialmente fatali al bel tenebroso Chamberlain, allergico ai rovi e a quanto pare anche ai crostacei. Il poveraccio non ne riconosce il sapore ('sti americani...) e si sente male, come se l'andropausa lo avesse finalmente acciuffato. Lui e il critico lasciano il ristorante in fretta e furia (e, si sospetta, senza avere il tempo di pagare il conto), sotto lo sguardo costernato di chef e maître che vedono sfumare recensione e passione amorosa. E buon per loro che Nero Wolfe non passava di lì, altrimenti si sarebbero beccati una giusta denuncia per tentato omicidio. Morale: nell'iconografia americana il critico gastronomico è uomo, omosessuale e senza pancetta conquistata sul campo. In Italia è spesso uomo ma non sempre, ed è talvolta misogino, ma non per questo esente da vistosa adipe addominale. E le critiche donne? Elegantissime in abiti peplo.