Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.
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venerdì 10 maggio 2013

Astice, bavagliolo e passione

Astice e pasta di Gragnano © Brillante-Severina
"Intanto il tempo era trascorso e il mio orologio segnava le..." Brillat-Savarin
Non lontano dall'Abbazia di Staffarda, Piemonte - Non portavo il bavagliolo dai tempi dell'omogeneizzato, mi pare. Era ora di riprovare. Sono ai piedi del Monviso, a pranzo in un ristorante ingiustamente deserto dove ho scelto il tavolo vicino alla vetrata, con vista sul grande prato verde cintato da alberi che nascondono la strada trafficata e che nelle giornate di bel tempo offre come monumentale sfondo la catena alpina. Carne cruda, plin e brasato oggi proprio no. Ordino una coroncina di cappesante grigliate e poi il piatto per cui sono venuta: le penne di Gragnano con astice e pomodorini pachino. Il piatto arriva al dente e corredato di pinza, forchettina per estrarre celate polpe, salvietta profumata (in bustina industriale, pazienza) e bavagliolo, proposto e poi maternamente allacciato dietro al collo dalla proprietaria del ristorante. La quale, a ragionevoli intervalli di tempo, viene a ritirare il piatto scoprendo per ben tre volte che non l'ho ancora finito. Non si può aver fretta di terminare il tête-à-tête tutto tatto e vista con un crostaceo sempre meno coriaceo e con l'invisibile profilo del Monviso nascosto dalle nuvole. La passione non è cieca, è visionaria (Stendhal).

mercoledì 19 settembre 2012

Nonostante il tavolo

Fotografia © Brillante-Severina
"...il modo in cui si svolgono i pasti ha molto valore sulla felicità della vita." Brillat-Savarin
- Roma, più o meno Parioli – Alla fine ho deciso di andarci. Prenoto un tavolo a cena nel nuovo due stelle romano. Ho portato diversi vestiti che potrebbero andare bene per la serata, ma come spesso capita in queste situazioni, al momento della scelta nessuno sembra adeguato e ho un pretesto per andare a comprare un abito nuovo. Non faccio in tempo a uscire dal negozio col mio setoso bottino che inizia a piovere. A Roma il sanpietrino, già controindicato per i tacchi, diventa addirittura infido se bagnato e scivoloso. Il taxista è abbastanza gentile da aprirmi lo sportello (merito del sandalo), ma non abbastanza da tirare su il finestrino (aiuttt, sembrerò la Medusa). Queste attenzioni al superfluo tanto necessario si rivelano pateticamente vane, perché al ristorante mi accompagnano a un tavolo che rivolge le spalle alla sala: potrei indossare un sacco di tela e gli occhiali di Groucho Marx e nessuno se ne accorgerebbe. Non amo questi tavoli un po' disgraziati, ma capisco il motivo della scelta: offrirmi la vista sul grande giardino (che conosco a memoria, ma qui non lo sanno), reso suggestivo dal baluginare delle torce accese. Fiammelle simbolicamente eteree che un nuovo acquazzone a metà serata impietosamente spegne, tra il fuggi fuggi del personale in giacca bianca che mette in salvo i cuscini dei divani. Per fortuna la grande vetrata è non solo un occhio sull'esterno, ma riflette anche i movimenti della sala alle mie spalle, altrimenti farei un balzo sulla sedia allo sbucare ogni due minuti di uno dei tanti camerieri che serve il tavolo per versare l'acqua gallese, porgere i grissini sottili come spaghi o i panini caldi, cambiare il tovagliolo, stappare un nuovo vino, presentare i piatti della degustazione (150 euro) che prevede lumache alla mentuccia con bava di fagioli e caffè, eliche di pasta cacio e pepe con ricci di mare che in effetti sollevano da terra per quanto sono buone, astice con finferli e schiuma alle rose (un insieme che produce un mesto sapore di brodo di pollo), quaglia e fegato grasso supportata dal felice incontro di frutta secca e sedano, eterea mousse di cioccolato e caramello con gelato al fior di sale seguita da goduriose zeppole... guadagnandosi la lauta mancia, nonostante il tavolo.

domenica 12 agosto 2012

L'arte di cavar tappi

Fotografia © Brillante-Severina
"Il vino mi sorride, io lo carezzo..." Brillat-Savarin
- Piemonte – Agostano pranzo domenicale con i genitori. Ordiniamo linguine con astice e Vermentino. Il cameriere porta la bottiglia, la infilza col cavatappi e, per aiutarsi a estrarre il sughero, infila la poveretta fra le gambe appena sotto l'inguine e tira. Quando ci versa il vino chiedendo se va bene, avremmo la tentazione di rispondere che sa di... bidé.

giovedì 26 gennaio 2012

Due dita di Armagnac

“[dopo un buon pasto] il cervello si rinfresca, la fisionomia si distende, il colorito si ravviva, gli occhi brillano, un dolce calore si diffonde per tutte le mebra.” Brillat-Savarin
- Alessandria, Piemonte – È giovedì sera e sono a cena in un buon ristorante dell'alessandrino. Insieme all'appetizer arriva nel locale un altro avventore solitario che sceglie il tavolo accanto al mio. Mi fa piacere che altri oltre me decidano di mangiare fuori da soli in una fredda serata invernale di provincia, ma dopo un fugace sguardo è chiaro che le nostre affinità si fermano a questo. Il suo viso, serioso e irsuto, non invita a una seconda occhiata (barbe, pizzetti, mosche... perché?) e le sue mani non si staccano dai tasti del cellulare per tutto il tempo della cena (ok, anch'io ho mandato qualche sms a un'amica, ma all'antipasto ho smesso). Ordino quaglietta con crema di scalogni allo zafferano e una ratatouille da far invidia al “Remy piccolo chef”, astice con purea di patate ormeggiata nella sua bisque, raviolini farciti di galletto e foie gras, e infine (favolosa) pancetta di maialino da latte dalla cotenna croccante con purea di mele e confettura di cipolle rosse di Tropea. Tra uno scrunch e l’altro bevo un calice di Franciacorta e una mezza bottiglia di discreto Barolo, decretando il prosciugamento delle mie finanze per il resto della settimana. Lui ordina il piccolo menu della tradizione, forse non è del luogo e vuole assaggiare i piatti tipici, ma chiede un solo bicchiere di Barbera per il timore che "mezza bottiglia sia troppo". Terminato il dessert, l'avventore paga il conto ed esce, con la stessa fisionomia di quando è entrato. Io chiedo due dita di Bas Armagnac. Che si trasformano in quasi quattro... non perchè ci veda già doppio, ma per merito della cameriera -simpatica ragazza- che versa con generosità. È quasi l'una quando pago ed esco dal ristorante, con occhi più brillanti.