Salice Terme, Lombardia - Se si cucina la quaglia al foie gras senza aver letto il racconto di Karen Blixen dal quale è tratto il film Il pranzo di Babette me ne accorgo.
Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.
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mercoledì 23 gennaio 2013
La strada della quaglia è lastricata di foie gras
"...la maggioranza cerca la strada più comoda." Brillat-Savarin
mercoledì 19 settembre 2012
Nonostante il tavolo
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Fotografia © Brillante-Severina |
- Roma, più o meno Parioli – Alla fine ho deciso di andarci. Prenoto un tavolo a cena nel nuovo due stelle romano. Ho portato diversi vestiti che potrebbero andare bene per la serata, ma come spesso capita in queste situazioni, al momento della scelta nessuno sembra adeguato e ho un pretesto per andare a comprare un abito nuovo. Non faccio in tempo a uscire dal negozio col mio setoso bottino che inizia a piovere. A Roma il sanpietrino, già controindicato per i tacchi, diventa addirittura infido se bagnato e scivoloso. Il taxista è abbastanza gentile da aprirmi lo sportello (merito del sandalo), ma non abbastanza da tirare su il finestrino (aiuttt, sembrerò la Medusa). Queste attenzioni al superfluo tanto necessario si rivelano pateticamente vane, perché al ristorante mi accompagnano a un tavolo che rivolge le spalle alla sala: potrei indossare un sacco di tela e gli occhiali di Groucho Marx e nessuno se ne accorgerebbe. Non amo questi tavoli un po' disgraziati, ma capisco il motivo della scelta: offrirmi la vista sul grande giardino (che conosco a memoria, ma qui non lo sanno), reso suggestivo dal baluginare delle torce accese. Fiammelle simbolicamente eteree che un nuovo acquazzone a metà serata impietosamente spegne, tra il fuggi fuggi del personale in giacca bianca che mette in salvo i cuscini dei divani. Per fortuna la grande vetrata è non solo un occhio sull'esterno, ma riflette anche i movimenti della sala alle mie spalle, altrimenti farei un balzo sulla sedia allo sbucare ogni due minuti di uno dei tanti camerieri che serve il tavolo per versare l'acqua gallese, porgere i grissini sottili come spaghi o i panini caldi, cambiare il tovagliolo, stappare un nuovo vino, presentare i piatti della degustazione (150 euro) che prevede lumache alla mentuccia con bava di fagioli e caffè, eliche di pasta cacio e pepe con ricci di mare che in effetti sollevano da terra per quanto sono buone, astice con finferli e schiuma alle rose (un insieme che produce un mesto sapore di brodo di pollo), quaglia e fegato grasso supportata dal felice incontro di frutta secca e sedano, eterea mousse di cioccolato e caramello con gelato al fior di sale seguita da goduriose zeppole... guadagnandosi la lauta mancia, nonostante il tavolo.
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giovedì 16 agosto 2012
Ferragosto garbato
Fotografia © Brillante-Severina |
- Lombardia e Piemonte – Un ferragosto banalmente adorabile: sveglia alle 9.30, pantaloni e top con paillettes blu, sandali azzurro acqua e sono in macchina. Alle 11.00 mi parcheggio con un quotidiano a un tavolo della Sala dei gelati di Salice Terme e faccio colazione. L'età media è da pensionato, ma è fresco e la brioche è decente. Alle 12.00 ordino un aperitivo della casa rigorosamente alcolico e arriva un succo arancio-rosa in calice tubolare decorato con frutta esotica e stecco con lustrini. Manca solo l'ombrellino di carta. A un tavolo un uomo arrivato non so quando estrae dalla tasca laterale dei pantaloni un tablet e legge bevendo un caffè ghiacciato. I camerieri del vicino ristorante dove andavo spesso con i miei genitori quando ero piccola armeggiano con sedie, calici e secchielli da vino. Sono molto eleganti nella divisa: camicia bianca, pantaloni neri e grembiule con pettorina dello stesso colore. Mi fermerei volentieri a mangiare, ma devo conservare l'appetito per la cena. Alle 13.30 mi decido ad alzarmi tuffandomi nel sole, nei 34 gradi e negli aromi dei barbecue. Passo dalla panetteria famosa per le pizzette e ne prendo due. A casa sono la custode della dimora avita, tutti vanno in vacanza. Innaffio i fiori mentre le pizzette si scaldano in forno e poi mi spaparanzo in poltrona con un generoso calice di Moscato giallo e il sottofondo dell'aria condizionata che a tratti singhiozza. Mi sento un po' Lebowski e guardo film tutto il pomeriggio (Due settimane in un'altra città con Kirk Douglas non è un capolavoro ma è ambientato a Roma e mi basta), poi scelgo l'abito per la cena. Rosso, e sandali verde metallizzato con rosa scarlatta. Passo a prendere P. alle 19.30. In due abbiamo più di 20 cm di tacchi e ciononostane arriviamo al ristorante troppo presto. Insisto per sederci un po' fuori (almeno fino all'arrivo delle zanzare) per un aperitivo. Siamo due fanciulle all'ombra di un campanile bianco-meringa, tetti e cespugli con bacche rosse e una finestra da cui spiare la cucina. Ci portano bollicine italiche, focaccia e coppa. Dentro siamo le più giovani e la clientela agée, intollerante al fresco, fa spegnere uno dei condizionatori. Noi ci "rinfreschiamo" con una bottiglia di Champagne di Bruno Paillard Première Cuvée Rosé che richiederà un pagamento in cambiali e ingolliamo petto e cosce (le più sexy della sala) di quaglia con verdure al curry, teneri calamaretti ripieni di baccalà mantecato su (inutile) cipolla di Tropea uvetta e pinoli, tagliolini con ragù di rana pescatrice e zucchine che sembrano un distillato dell'estate, sella di coniglio cotta a bassa temperatura (P. era scettica ma la divora) e peperoni di Carmagnola, perfetto cannolo di gianduia e mascarpone con gelato di nocciola e salsa mou. Quando i vecchietti freddolosi se ne sono andati e l'aria è più fresca, ci facciamo versare un dito di Armagnac e, piluccando la piccola pasticceria ormai disfatta, condividiamo meditazioni su amori, uomini, amicizie, progetti di lavoro, sogni, diete... Mentre torniamo a casa, un guizzo di pelliccia fulva attraversa la strada e scompare nei campi; è una volpe, perfetta chiosa di un giorno garbato.
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lunedì 13 agosto 2012
Compleanni e ostriche
Fotografia: Ostrica © Brillante-Severina |
- Piemonte – Compiere gli anni ad agosto per un gourmet è già il colmo, vista la diffusa serrata di buoni locali; se poi, come succede a me quest'anno, il genetliaco cade di lunedì è una mezza débâcle, essendo quello un quasi universale giorno di chiusura. Quindi... consultata per giorni la Guida in cerca di un posto convincente per cucina e cantina, di gradevole aspetto, abbastanza vicino a casa da consentirmi di bere senza rimorsi, aperto in agosto e di lunedì... la scelta cade per la prima volta su un'enoteca. Sala di elegante semplicità con lumini accesi sui tavoli (anche su quelli non occupati), fresca di aria condizionata ma con la porta amichevolmente aperta sulla strada. In compagnia delle amiche la notte passa anche troppo veloce con avvio di bollicine e ostriche (di polpa modesta, sembrano parenti strette delle ostrichette curiose ammaliate dal tricheco di Alice nel paese delle meraviglie), bottiglia di vino bianco dei vicini Colli, "esotica" (dal punto di vista piemontese) burrata, quaglietta alla diavola, soffio finale su candelina rosa infilzata sulla crème brulée per esprimere un desiderio. E anche quest'anno la felicità gastrica è stata assicurata.
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sabato 17 marzo 2012
Mascherare l'amaro
“Bisogna aver riflettuto a lungo sui prodotti del globo per usare con abilità i condimenti e mascherare l'amaro di alcuni cibi, per aumentare il sapore di altri, per adoperare i migliori ingredienti." Brillat-Savarin
- Langhe, Piemonte - Ci sono chef giovani e promettenti talvolta rovinati da una critica gastronomica sensazionalistica e/o prezzolata. Leggo belle cose di un nuovo locale aperto in Langa. Le leggo nell'articolo di un importante quotidiano nazionale e sul blog a porzioni di un pluripremiato giornalista gastronomico (se ha pagato il conto di quel pranzo mi mangio i capelli). E andiamola ad assaggiare questa cucina, mi dico. È sabato a pranzo e il locale è deserto, ma questo non importa. Importa l'acqua nella bottiglia blu dal sapore orrendo, la signora che all'invito a fare un abbinamento al calice ai piatti risponde "non sono molto ferrata, ma ci provo" (e quel provarci si materializza nella bottiglia di vino più cara nella sua tipologia), le stoviglie da finger food in plastica per giunta segnate di rossetto, le posate dalla foggia talmente strana che non si riesce a impugnarle, l'ennesima variazione dell'indifeso ortaggio, gli agnolotti ripieni di formaggio che non si capisce perchè nella sfoglia abbiano il cacao amaro visto che tanto non si sente, la quaglia dall'aspra farcia di salsiccia che ha per contorno un inutile semolino e tre pezzetti di patata fritta assurdamente serviti in un bicchierino. Dopo il dolce (buon tortino di cioccolato liquido) mi alzo e pago il conto. La "signora dei vini" mi chiede se sono in zona di passaggio per lavoro. Rispondo di no, amo il cibo. Lei ci dovrebbe leggere l'occasione per presentare la cucina del locale e invece parla di crisi. Se non mi lamento io per l'amarezza di aver appena sprecato 67 euro per il pranzo (più benzina e autostrada), figuriamoci se ho voglia di sentire queste lagne. Sono già alla porta quando dalla cucina emerge il cuoco. Ha un'espressione timida che fa a pugni con la bizzarra toque a scacchi bianchi e neri poggiata sulla testa. Forse vuole dire qualcosa, più probabilmente no, io vado fuori al sole.
- Langhe, Piemonte - Ci sono chef giovani e promettenti talvolta rovinati da una critica gastronomica sensazionalistica e/o prezzolata. Leggo belle cose di un nuovo locale aperto in Langa. Le leggo nell'articolo di un importante quotidiano nazionale e sul blog a porzioni di un pluripremiato giornalista gastronomico (se ha pagato il conto di quel pranzo mi mangio i capelli). E andiamola ad assaggiare questa cucina, mi dico. È sabato a pranzo e il locale è deserto, ma questo non importa. Importa l'acqua nella bottiglia blu dal sapore orrendo, la signora che all'invito a fare un abbinamento al calice ai piatti risponde "non sono molto ferrata, ma ci provo" (e quel provarci si materializza nella bottiglia di vino più cara nella sua tipologia), le stoviglie da finger food in plastica per giunta segnate di rossetto, le posate dalla foggia talmente strana che non si riesce a impugnarle, l'ennesima variazione dell'indifeso ortaggio, gli agnolotti ripieni di formaggio che non si capisce perchè nella sfoglia abbiano il cacao amaro visto che tanto non si sente, la quaglia dall'aspra farcia di salsiccia che ha per contorno un inutile semolino e tre pezzetti di patata fritta assurdamente serviti in un bicchierino. Dopo il dolce (buon tortino di cioccolato liquido) mi alzo e pago il conto. La "signora dei vini" mi chiede se sono in zona di passaggio per lavoro. Rispondo di no, amo il cibo. Lei ci dovrebbe leggere l'occasione per presentare la cucina del locale e invece parla di crisi. Se non mi lamento io per l'amarezza di aver appena sprecato 67 euro per il pranzo (più benzina e autostrada), figuriamoci se ho voglia di sentire queste lagne. Sono già alla porta quando dalla cucina emerge il cuoco. Ha un'espressione timida che fa a pugni con la bizzarra toque a scacchi bianchi e neri poggiata sulla testa. Forse vuole dire qualcosa, più probabilmente no, io vado fuori al sole.
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domenica 5 febbraio 2012
Spolpando cosce di quaglia
“Io non stimo molto quell'uomo - diceva il conte M. parlando di un aspirante... - non ha mai mangiato il budino alla Richelieu e non conosce neppure le costolette alla Soubise.” Brillat-Savarin
- Alessandria-Torino-Roma – Quando ero una studentessa universitaria fuori corso, c'erano (quasi) sempre giovani uomini da incontrare, sognare e dei quali innamorarsi. Carina ma non bellissima, amavante dei vestiti senza essere vanesia, colta ma in ritardo con la laurea, molti interessi e altrettante vaghe aspirazioni e lontana anni luce dalla competizione lavorativa; tutto questo forse creava un mix interessante e rassicurante insieme. Oggi, laureata e con un lavoro autoinventato che adoro, nonchè entusiasta critico gastronomico con regolare contratto, mi accorgo di attirare non più i miei coetanei, ma uomini più grandi alla cui esca sciapa non mi piace abboccare. Come nell'episodio di Sex and the city nel quale Samantha è sconcertata dall'interesse che le dimostra un improbabile vicino di casa dai capelli bianchi e l'aspetto "giovanile" o quell'altro in cui Carry, nel tempio di Vogue, si copre gli occhi di fronte alle brache calate di un uomo che potrebbe essere suo padre. Il brodino di pollo non mi è mai piaciuto, preferisco spolpare coscette di quaglia e costolette di agnello.
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giovedì 26 gennaio 2012
Due dita di Armagnac
“[dopo un buon pasto] il cervello si rinfresca, la fisionomia si distende, il colorito si ravviva, gli occhi brillano, un dolce calore si diffonde per tutte le mebra.” Brillat-Savarin
- Alessandria, Piemonte – È giovedì sera e sono a cena in un buon ristorante dell'alessandrino. Insieme all'appetizer arriva nel locale un altro avventore solitario che sceglie il tavolo accanto al mio. Mi fa piacere che altri oltre me decidano di mangiare fuori da soli in una fredda serata invernale di provincia, ma dopo un fugace sguardo è chiaro che le nostre affinità si fermano a questo. Il suo viso, serioso e irsuto, non invita a una seconda occhiata (barbe, pizzetti, mosche... perché?) e le sue mani non si staccano dai tasti del cellulare per tutto il tempo della cena (ok, anch'io ho mandato qualche sms a un'amica, ma all'antipasto ho smesso). Ordino quaglietta con crema di scalogni allo zafferano e una ratatouille da far invidia al “Remy piccolo chef”, astice con purea di patate ormeggiata nella sua bisque, raviolini farciti di galletto e foie gras, e infine (favolosa) pancetta di maialino da latte dalla cotenna croccante con purea di mele e confettura di cipolle rosse di Tropea. Tra uno scrunch e l’altro bevo un calice di Franciacorta e una mezza bottiglia di discreto Barolo, decretando il prosciugamento delle mie finanze per il resto della settimana. Lui ordina il piccolo menu della tradizione, forse non è del luogo e vuole assaggiare i piatti tipici, ma chiede un solo bicchiere di Barbera per il timore che "mezza bottiglia sia troppo". Terminato il dessert, l'avventore paga il conto ed esce, con la stessa fisionomia di quando è entrato. Io chiedo due dita di Bas Armagnac. Che si trasformano in quasi quattro... non perchè ci veda già doppio, ma per merito della cameriera -simpatica ragazza- che versa con generosità. È quasi l'una quando pago ed esco dal ristorante, con occhi più brillanti.
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giovedì 16 giugno 2011
La tirannia delle battute
“...allo stato attuale dell'arte culinaria, i cuochi sanno benissimo farci mangiare senza fame.” Brillat-Savarin
- Novara, Piemonte – A volte scrivere una recensione per la Guida è castrante perchè ogni anno il numero delle battute si riduce mentre le cose da dire aumentano. Non c'è spazio per raccontare quanto può essere divertente un benvenuto dello chef che ti invade letteralmente la tavola: un grande sasso con due fessure dalle quali affiorano i craker alle erbe coltivate nell’erbario che la cucina si coltiva da sè e che aromatizzano anche le gonfie e croccanti cheaps. E poi lo spiedino che infilza una polpetta di quaglia e una fetta di zucchina in tempura o il tubo d'acciaio che nasconde una carotina all’arancia. E ancora la lastra in pietra su cui giace come una lumaca addormentata un involtino tiepido di Gorgonzola. Dulcis in fundo la polposa ciliegia imbevuta di liquore e succo d'arancia presentata denocciolata ma con il gambo attaccato. Il vero e proprio menu deve ancora iniziare e non ci sono più battute per descrivere la porchetta cotta a bassa temperatura tenera come le seppioline che le giocano intorno, le due biglie di foie gras ricoperte di granella di pistacchio o di noci con accanto una briochina calda, gli agnolotti del plin all’acciuga con palline di Bettelmatt che nuotano nel consommé di peperone, il risotto con la striscia di ragù di quaglia mela e formaggio, il piccione con i datteri farciti, i cubi di milanese con un ketchup casalingo che ti fa venire voglia di imparare a farlo e una senape troppo delicata e mucchietti di verdure tagliate forse da folletti per quanto sono sottili. Impensabile citare l'assaggio di Gorgonzola stagionato fatto con il latte della mungitura del mattino e perciò più grasso e perciò adatto alla stagionatura e poi le fragole nel vino con la meringa sbriciolata. Ingiusto esilio dall'articolo anche per la scatola in vimini a più piani colma di biscottini, croccanti, nocciole e gelatine di more...
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