Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.

sabato 24 settembre 2011

Il seme in cucina? No, grazie

“Che cosa s'intende per alimenti? Risposta volgare: L'alimento è tutto ciò che ci nutrisce.” Brillat-Savarin  
- USA – Fra i molti libri (di cucina) dei quali non si sentiva la mancanza, spicca “Natural Harvest - A Collection of Semen-Based Recipes”. Sessantun pagine di elogio del seme che neanche i Monty Python, descritto come sottovalutato quanto desiderabile ingrediente di cucina. La recensione trovata sul web è impagabile e recita più o meno così: “Come il buon vino e i formaggi, il sapore del seme è complesso e dinamico. Lo sperma è economico da produrre ed è comunemente disponibile in molti, se non nella maggior parte, di case e ristoranti. Nonostante tutte queste qualità positive, lo sperma rimane trascurato come alimento...” Una vera ingiustizia semenziale! Già si pregusta l’amaro giorno in cui al ristorante camerieri e cuochi descriveranno, oltre a scrocchiante pane di lievito madre, paffuti ravioli fatti in casa, pacifiche trote affumicate in cortile e polli ruspanti attinti direttamente dall’aia, pure le acrobazie sessuali necessarie a produrre l’ingrediente freschissimo della nuova creazione di cucina.

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