Brillat-Savarin
- Torino-Roma – Il pendolino Torino-Roma era popolato da un'umanità variegata e non banale, scomparsa sui frecciarossa. Nell’ultimo viaggio prima della sua disgraziata soppressione, vi incontrai il passeggero più strano di sempre. Ero salita a Voghera alle 8.50 (adesso vado con uno sgangherato trenino locale fino a Milano e lì cambio...) e non avevo quasi notato l’uomo seduto di là del corridoio. Ignoranza che durò poco perché appena partiti lui iniziò a parlare... da solo. Lo osservai. Indossava un completo grigio in seta di ottimo taglio e una cravatta intonata. I capelli castani arrivavano alla nuca ed erano un po' pazzi come i suoi discorsi. Parlava senza un accento particolare e con un vocabolario colto. In una mano teneva un bicchiere di carta nel quale versava il vino da una bottiglia appoggiata su una grande
valigia verde di un’eleganza d'altri tempi rigorosamente senza rotelle, e nell'altra un sigaro spento che all'altezza di Stradella pensò bene di accendere. Appena l’aroma si diffuse ci fu la ribellione generale dello scompartimento, con conseguente arrivo del capotreno che ci raccontò di quel passeggero distinto e agiato spesso in viaggio sulla linea Torino-Roma che da un anno era inspiegabilmente cambiato e spesso ubriaco (la bottiglia che vedevamo era già la seconda e a metà viaggio ne avrebbe acquistata una terza). Tornata la calma e promesso al capotreno di fare il bravo, l’uomo estrasse la fotografia di una donna e iniziò a parlare con lei, assicurandole che la amava. Da quanto insisteva, lei non doveva esserne molto convinta. Fino a quel momento, lo confesso, l’uomo mi era sembrato solo un gran rompiscatole che non stava mai zitto e si infilava nei miei pensieri, ma a Piacenza ci fu una svolta. Il cartello della stazione risvegliò in lui vivaci ricordi gourmet e iniziò a descrivere la cena in un gran ristorante cittadino che riconobbi e del quale fece una recensione confusamente esatta che me lo rese simpatico. All’altezza di Firenze il vino lo aveva ormai completamente confuso e, vedendo ripartire il treno verso la stessa direzione da cui era arrivato, si convinse che il macchinista avesse sbagliato il senso di marcia e che stessimo tornando indietro. Su questo punto non trovò pace e per il resto del viaggio continuò a ripetere che bisognava fare dietro front. Arrivati a Roma il capotreno e il personale del bar lo aiutarono a scendere. Quelli del bar furono molto villani, facendo battute sul vino bevuto come se non glielo avessero venduto loro. Una volta sceso, l’uomo, per una coerenza tenacemente portata fino in fondo, si incamminò non verso la stazione ma verso i binari esterni, convinto che avendo il treno sbagliato la marcia, Roma si trovasse in quella direzione. Io avevo un appuntamento e non potei restare a vedere come andava a finire, ma ancora oggi, ripensandoci, mi chiedo fin dove sarà arrivato, come e quando sarà uscito dalla stazione e se ad aspettarlo c’era la donna della fotografia o il suo fantasma.
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