La sala del Pipero al Rex alla fine della fine della serata © Brillante-Severina |
Esquilino, Roma - La sera è arrivata, andrò a cena nel ristorante più interessante fra quelli che mi sono proposta di visitare nella mia settimana romana di maggio. Il maggio più strano del secolo, freddo e piovoso, che però non mi ha scoraggiata dal mettere in valigia i sandali verde smeraldo con tacco alto che amo perché solidi e leggeri insieme, ispirati al vintage e moderni, ma soprattutto non volgari. Tornando al maggio capriccioso, quando si avvicina l'ora di uscire la pioggia, ovviamente, inizia a cadere più intensamente. La fermata dei taxi è vicina a casa, ma fra il portone e le auto bianche c'è comunque un serio percorso di sanpietrini dissestati sui quali è facile scivolare con le ballerine figuriamoci con i tacchi. Meglio prenotare un taxi e farlo arrivare davanti al portone o quasi. Lunga attesa telefonica con musica ossessiva, risposta di un'operatrice, nuova lunga attesa e... click, cade la linea. Ci riprovo con un'altra compagnia, stesso esito. Guardo i sandali, che fare, li cambio? Me li sono trascinati in valigia per le sette rampe di scale e non ci rinuncio (fantastico il palazzo antico, ma l'ascensore è forse considerato una concessione alla decadenza dei costumi e manca). A furia di insistere il taxi lo trovo e anche l'hotel e il di lui ristorante (altri gradini, per sentirsi un po' Wanda Osiris) e quando il maître mi accompagna nella sala scopro, non senza accasciamento dell'orgoglio, che le eleganti apparecchiature dei tavoli prevedono scenografiche tovaglie lunghe fino al pavimento le quali coprono completamente i piedi dei commensali. Tanta fatica per niente e ben mi sta, rimugino, fino a quando mi accorgo che il tavolo al quale vengo accompagnata è l'unico la cui tovaglia non tocca terra. Fra tatto e vanità. Vanitas vanitatum et omnia vanitas (vanità delle vanità, tutto è vanità).
Nessun commento:
Posta un commento