Una scaloppa di foie gras comme il faut - Fotografia © Brillante-Severina |
- Italia – Dieci anni fa la scaloppa di foie gras nei menu dei ristoranti italiani era una rarità. Se presente, era quasi sempre selezionata con accuratezza, prima che cucinata con perizia. Il fortunato che poteva permettersi di ordinarla era lusingato da una squisita e tremolante massa rossiccio-bruna, di forma lussureggiante sferiforme e luccicosa, di scioglievole morbidezza e paradisiaca dolce ambiguità di sapore. Oggi, al tempo dei fornitori di alta cucina che procurano tutto, dalla rara lumachina alpina alla marmorizzata carne del bove massaggiato con guanto di crine, il foie gras è diventato una pietanza diffusa, e fin qui va bene, anzi benissimo. "Piace tanto ai clienti" gongolano in ogni dove, solo che Walter Benjamin non ci potrebbe scrivere un saggio intitolato, magari, Il foie gras nell'epoca della sua riproducibilità tecnica perchè la vagheggiata scaloppa ha effettivamente perso un po' della sua aura. E non a causa della diffusione con conseguente maggiore accessibilità, ma del fatto che, come in una favola a rovescio, si è trasformata in uno stitico parallelepipedo di color ocra pallido, forma sempre uguale che pare fatta con uno stampo a foggia di stato dell'Oklahoma, consistenza bisteccosa e non di rado percorsa da fastidiosa reticolatura di antiestetiche venuzze. Per non parlare di quando sul menu compare come fuà gra, e si mangia come si pronuncia.
Fotografia © Brillante-Severina
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