Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.

sabato 24 settembre 1994

Corpi saporosi

“Il gusto è quello, fra i nostri sensi, che ci mette in relazione coi corpi saporosi...” Brillat-Savarin
- Firenze, Toscana – << Prologo Negli anni Novanta iniziai a tenere un "diario" dei pranzi e delle cene nei ristoranti e solo per questo ancora oggi posso dire cosa ho mangiato e dove negli ultimi quindici anni. Trovandomi a Firenze per visitare la Fortezza, decisi malgrado l'esordio non proprio incoraggiante di andare a pranzo nel pluri stellato cittadino. Giovane e idealista, mi aggrappavo all'idea che certi locali fossero gestiti da artisti della cucina dediti a una sola missione: la diffusione del gusto. Era un settembre caldissimo e indossavo un tailleur pantalone per sembrare più grande che si rivelò una tortura mentre percorrevo demenzialmente più volte la via del ristorante senza riuscire a trovarne l'ingresso, non direttamente affacciato sulla strada. Finalmente varcai accaldata e non senza emozione la soglia di un locale che mi sembrò da subito il più meraviglioso mai visitato. La sala apparecchiata per il pranzo era dominata da un lampadario in vetro di Murano che penzolava da un alto soffitto abbellito da uno zoccolo in legno intagliato e dorato. Tendaggi, quadri in cornici fronzolute, maestosi vasi di fiori, tavoli tondi con apparecchiature di gusto completavano l'atmosfera da dimora elegante. Per la carta ero ancora acerba e scelsi il Menu degustazione a sorpresa (costava centocinquantamila lire). A rileggerli oggi i piatti ispirano tenerezza: Cozze con pomodoro e basilico, Gamberi avvolti nella pancetta affumicata su vellutata di farro e legumi (all'epoca manicaretto originalissimo e innovatore per gli accostamenti, in seguito molto imitato, oggetto di numerose paternità e piatto icona di Fulvio Pierangelini al fu Gambero Rosso di San Vincenzo), Filetto di branzino con fiori di zucchine salsa al coriandolo e zucchini, Bavette con salmone e zucchini, Tortelli di zucca con amaretti e burro (il piatto che mi parve il migliore del pranzo e che in seguito mi avrebbe ispirato frequenti gite nel mantovano), Purea di carota con Medaglioni di carne non meglio identificata perchè portati da un cameriere diverso da quello che mi aveva servito fino a quel momento e che si dimenticò di presentare il piatto, Sorbetto di mela, Strudel di mele e prugne e, prima della Piccola pasticceria, Gelato di cannella e crema servito nella coppa più stravagante mai vista, degna di affiancare le saliere di Cellini nelle teche dei musei. Quando mi portarono l'enciclopedico libro dei vini lo sfogliai con umile curiosità immaginando le mani dei veri adoratori delle anfore sacre a Bacco che mi avevano preceduta in quei gesti. La scelta cadde su una bottiglia di vino bianco di cui bevvi non più di due bicchieri e alla quale il sommelier affiancò un gigantesco bicchiere di vino rosso, di ben altro livello, per il piatto di carne. Non seppi mai il motivo, ma i vini mi furono offerti. Per il trattamento telefonico? la mia giovane età? un equivoco? una specie di risarcimento al fatto che, come talvolta accadeva nei menu degustazione, l'emozione folgorante e indimenticabile, da cucina di alta scuola, si fece attendere come Godot? Non so, e certo non lo chiesi alla rosso chiomata signora Annie durante il suo fugace, elegante e profumato passaggio fra i tavoli, altera vestale del tempio in atto di dispensare benevoli sorrisi a noi provetti ospiti ...continua

Nessun commento:

Posta un commento