Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.

martedì 30 aprile 2013

Le lacrime dei golosi

Anatra laccata al miele e aceto di Timorasso, Rebollini © Brillante-Severina
"Le passioni agiscono sui muscoli..." Brillat-Savarin
Val Borbera, Piemonte - Quando due sere prima, al ritorno da una cena, una coppia di germani reali mi aveva attraversato la strada (leggere >>), avevo pensato che per molto tempo non avrei avuto il coraggio di mangiare anatra. E infatti... eccomi qui ad affettarne svariate fette laccate al miele e aceto di vino Timorasso. Quest'anatra mi ha colta di sorpresa perché il menu riportava il nome di un altro volatile, ma al momento dell'ordinazione mi veniva specificato che trattavasi di errore di stampa e senza riflettere avevo automaticamente accettato il cambio. Quando l'episodio dei germani mi tornava alla mente era ormai troppo tardi per cambiare l'ordinazione. Se la terra potesse partorire fecondata da lacrime di golosa, ogni goccia sarebbe un coccodrillo! (molto liberamente tratto dall'Otello di Shakespeare)

lunedì 29 aprile 2013

Tubero trompe l'oeil

© Brillante-Severina
"...il posto d'onore fino a oggi spetta alla patata." Brillat-Savarin
Roma - Il cibo mi perseguita. Ne ho l'ennesima prova mentre rientro da una cena a mezzanotte passata. Sto salendo a piedi le sei (o sono otto?) rampe di scale (non per scelta salutista ma perché il palazzo non ha ascensore) e noto il pomello del corrimano che per forma e colore sembra un tubero. Avendo appena ingollato un menu da dieci portate annaffiato da mezza bottiglia di bollicine e non sentendomi del tutto salda sui sandali preferiti verde metallico il cui tacco dodici avrebbe bisogno di un condono, attribuisco la fisiognomica somiglianza alla fantasia sovraeccitata dalle libagioni. Eppure... torno indietro e osservo il pomolo del passamano a fianco: ha una forma snella e allungata completamente diversa ed è in ferro. Mi decido ad allungare un dito verso il pomello sospetto e, si, è proprio una patata, infilata lì non si sa da chi e non più rimossa. L'ho già detto che il cibo mi perseguita?

sabato 27 aprile 2013

Germano reale fuori menu

Germani reali © Brillante-Severina
"...quando la fisionomia ha un carattere determinato è difficile ingannarsi." 
Brillat-Savarin
Lomellina, Lombardia
All'andata ero riuscita a evitare la stretta stradina di campagna "suggerita" dal navigatore, ma al ritorno, complici il buio, la scarsa familiarità dei luoghi, la pioggia e l'abbondante cena, farmela imboccare a tradimento gli è stato facile. Così all'una di notte mi trovo a illuminare con gli abbaglianti nove tortuosi ma affascinanti chilometri di campi, risaie, cascine abbandonate, case addormentate, canali incorniciati da erba verdissima, piccole dighe, una chiesa immobilmente specchiata nell'acqua, il cartello di un santuario (Mädöna dal söc) che indica una direzione di fango e acqua. C'è silenzio ma il paesaggio non è immobile. La piccola fauna locale vive la sua febbre del venerdì sera. Un battito d'ali, la coda di una volpe che scompare nei cespugli e soprattutto decine e decine di ranocchie di piccola taglia che saltellano da un fosso all'altro. Forse vanno a trovare le amiche o magari l'erba della rana dello stagno vicino è sempre più verde, fatto sta che guido a 30 all'ora e faccio lo slalom per non farne strage. E mentre procedo a questa folle velocità, faccio l'incontro più simpatico della serata: una coppia di anatre attraversa pacifica la strada. Sono due germani reali, il maschio è riconoscibilissimo per la testolina e il collo color verde metallico e l'altro, dal piumaggio beige e marrone, è probabilmente la compagna. Mi fermo per lasciar passare i bipedi, ma loro non hanno fretta e indugiano parecchio prima di decidersi a scivolare nell'erba alta ed essere risucchiati dal buio, verso nuove avventure acquatiche.

venerdì 26 aprile 2013

Maddalena bifronte

  Tortelli di farina di castagne con agnello foie gras e nocciole tostate © Brillante-Severina -
Maddalena del Caravaggio
"... racconto un episodio che dimostra che non c'è nulla di sicuro in questo mondo..." Brillat-Savarin 
Fra Trastevere e Testaccio, Roma - La giovane cameriera che segue il mio tavolo ha un viso dolce e grazioso, molto somigliante all'infantile Maddalena vestita di damasco di Caravaggio esposta alla Galleria Pamphilj di Via del Corso. Si china gentile per spiegarmi con passione ogni piatto e accertarsi che vada tutto bene, fino ad arrossire e profondersi in scuse sincere quando dimentica di portarmi il cucchiaio per l'uovo poché. Mi sento più fortunata degli altri clienti, serviti da una cameriera che vedo solo di spalle ma in apparenza sbrigativa e di fisico sgraziato, come certe figure di donna di Jan Vermeer impegnate in faccende che forse non amano. Dopo vari antipasti e ripetuti attacchi al sacchetto di pane e grissini, arrivo ai tortelli di farina di castagne con agnello foie gras e nocciole tostate (tra parentesi, ben riusciti per sottigliezza della sfoglia, incontro di sapori e per quel tocco tostato della nocciola che titilla) e solo allora mi cadono le fette di salame dagli occhi. Quelle che credevo essere due differenti cameriere sono in realtà la stessa ragazza, che colgo nel gesto di girarsi dopo aver servito un altro tavolo. Ci rimango malissimo, tanto più che per una volta ho bevuto un solo bicchiere di vino. Dovrò rivalutare Vermeer (non sarà un caso che Wislawa Szymborska gli abbia dedicato versi ispirati: Finché quella donna del Rijksmuseum / nel silenzio dipinto e in raccoglimento, / giorno dopo giorno versa il latte / dalla brocca nella scodella, / il mondo non merita / la fine del mondo). Comunque questi Chardonnay pugliesi sono potenti eh...

mercoledì 24 aprile 2013

Sessappiglio

Bottoncini di pasta e infuso © Brillante-Severina
"...il liquido va sempre giù..." Brillat-Savarin
A nord del Bioparco, Roma - Noto sin dalle prime portate una certa parsimonia nella distribuzione delle posate. Ogni piatto è preceduto dall'arrivo di una sola posata alla volta e così il sorbetto lo pilucco con la forchetta, la tonica sfoglia di mozzarella la strazio a cucchiaiate e riduco a più miti consigli il coriaceo cuore di panzanella a colpi di rebbi, per non parlare dell'appetizer affrontato a mani nude. Forse han portato l'argenteria a lucidare, penso, e sono subito punita. Quando vengono serviti gli sferici bottoncini di pasta, completati con un infuso versato al tavolo dal maître con quel gesto evocativo dei cerimoniali della geisha che potrebbe ben accendersi di sessappiglio, accanto al piatto non c'è alcuna posata (fine del sex appeal). Cerco di richiamare a gesti l'attenzione della cameriera, che però mentre mi passa davanti guarda altrove, e del maître, anche lui in altri pensieri assorto. In un crescendo fantozziano, gorgheggio contenuti richiami "Signorinahhhhh..." ma niente. Quando mi decido ad alzare il tono di voce, per fatale coincidenza gli altri tavoli occupati della sala stringono un patto di posata alleanza e osservano un minuto di silenzio. L'attenzione è richiamata, più o meno come se stessi sorvolando i tavoli su una liana ululando a tonsille sciolte il richiamo di Tarzan. Comunque non arrivano gli animali della giungla e neanche quelli del vicino Bioparco, ma un cucchiaio e molte scuse. A chiedere anche una forchetta, che renderebbe più piacevole la consumazione dei bottoni di pasta, rinuncio. Ugola in sciopero.

martedì 23 aprile 2013

Stregati dalla bassa temperatura

Uovo cotto a bassa temperatura e guanciale croccante © Brillante-Severina
"...si stropicciavan le mani dicendo: Eccoli stregati!" Brillat-Savarin 
Testaccio, Roma - L'appetizer è spesso rivelatore dei successivi piatti che usciranno dalla cucina. A volte banale (mousse di salmone con pomodoro e pane tostato), altre raffinatissimo (burrata e ostrica), qualche volta non sai da che parte prenderlo (leggi Il ruggito dell'appetizer). Nel ristorante di questa sera consiste in uno degli antipasti elencati in carta. Arriva infatti una stoviglia ampia e concava nella quale si crogiola come lava sul fondo del vulcano un uovo cotto a bassa temperatura ricoperto di guanciale e altre croccantezze, il quale non chiede di meglio che essere brutalizzato a colpi di forchetta per diffondere il rivolo del tuorlo e fertilizzare con la sua scia dorata il contenuto del piatto. Una citazione alla carbonara, la cui destrutturazione è talmente in voga in questo periodo a Roma che non c'è verso di vedersene servire una vera. Osservo gli stuzzichini portati agli altri tavoli. Ben presentati e invitanti, per carità, ma nessuno sostanzioso quanto questo. Benedette cucine a vista che permettono agli chef di prendere in simpatia i clienti foresti.

domenica 21 aprile 2013

Il ruggito dell'appetizer

Appetizer Metamorfosi © Brillante-Severina
"Le prime armi dovettero essere rami d'albero..." Brillat-Savarin 
Parioli, Roma - Il ristorante dove un mese prima di giovedì non ero riuscita a trovar posto a cena, alle 21.00 di mercoledì è vuoto (lunaticità capitoline), se non per un tavolo occupato da una coppia sugli ottant'anni e un gruppo fuori portata esiliato nella sala soppalcata, ai quali si aggiungeranno altre due coppie un'ora dopo. Gli ottuagenari non sono per nulla intimiditi dalle sperimentazioni culinarie dello chef e, fra un uovo poché con scrocchianti velleità di carbonara e uno spaghetto nel quale il mare è presente in spirito attraverso mantecatura d'ostrica, polvere di cozze e duna di peperoncino che provoca in lei una mitragliata di starnuti, parlano della vacanza all'estero che stanno preparando. Mentre io cerco di dominare, senza frusta o rudimentali armi ramose, la tropicale foglia appetizer appollaiata sul ceppo di legno che la cameriera mi ha raccomandato di avvolgere su se stessa raccogliendo ciò che sta sotto e mangiare poi con le mani (non che ci siano alternative, vista l'assenza di posate) senza però spiegare come non sbrodolarsi con germogli e salsine, loro elencano imminenti avventure podistiche ricapitolando le cose da fare, come il passaporto. Aggiungerei alla lista la lucidatura e cromatura del bastone in legno di lei che, appoggiato sul divanetto e puntato verso eventuali invasori, sembra ricavato dagli avanzi del mio ceppo.

sabato 20 aprile 2013

Le orse e l'Acqua Paola della Fontana di Palazzo Taverna

Roma: Le orse della Fontana del Casoni di Palazzo Orsini Taverna
Delle orse reggistemma, oggi non più visibili, che nel 1600 gorgogliavano acqua nella fontana di Palazzo Orsini, oggi Taverna, si parla in "Ritratto di signora con tramezzino"

venerdì 19 aprile 2013

Ritratto di signora con tramezzino

Roma: Palazzo Orsini Taverna e tramezzino © Brillante-Severina
Nicole Kidman nel ruolo di Isabel Archer in Ritratto di signora di Jane Campion
"Da qualunque lato si consideri, il buongusto non merita che lode..." Brillat-Savarin
Da piazza dell'Orologio a Palazzo Taverna, Roma - Il bello del centro storico è che nella marea di locali insipidi spunta talvolta un'idea interessante, un asparago elegante e solitario nella selva. In una settimana affollata di polpi rosticciati, risotti alla camomilla e aragosta, maritozzi alla crema di foie gras e troppo altro, la mia pausa pranzo nell'aprile tiepido si rifugia a Piazza dell'Orologio (luogo non solo bello ma sul quale si affacciano tre dico tre teatri e una biblioteca). Il negozio di mobili di design di Via Degli Orsini è sparito, sostituito dall'idea di vendere buoni tramezzini preparati alla maniera veneta. Pane senza strutto fatto arrivare dal Veneto e farce da acquolina a forma gobba che danno ai sandwich l'aspetto di suore vincenziane e felliniane. Date le cene di cui sopra, mi limito a uno (sigh), percorro i dieci passi fino a Via Di Monte Giordano e mi fermo davanti a Palazzo Taverna nel cui cortile si erge in tutto il suo muschioso splendore la fontana del Casoni, un tempo ornata da due orse reggistemma intente a sputacchiare uno zampillo d'acqua ciascuna. L'origine del palazzo è antica e ricca di storie. Innanzitutto questa è una collinetta artificiale che deve il nome a Giordano Orsini, senatore romano nonchè nipote di papa, che nel XIV secolo qui si insediò, in un fortilizio già esistente. La fortezza della potente famiglia Orsini, ricordata pure da Dante nell'Inferno, diventò sempre più ramificato palazzo, residenza di ambasciatori e cardinali e di ospiti illustri come Torquato Tasso. La fontana fu commissionata ai primi del 1600 da Paolo Giordano II Orsini che così portò in questa parte di Roma l'Acqua Paola, proveniente da territori di proprietà della famiglia. L'ultimo e indebitato duca di Bracciano vendette mura e zampilli nel 1688 alla nobile famiglia romana Gabrielli la quale a sua volta si estinse a fine 1800, lasciando la scena ai conti Taverna di Milano. Ogni volta che passo davanti al cancello ringrazio Orsini Gabrielli e Taverna in blocco per aver reso così bello questo angolo, e penso all’Imperatrice Eugenia che in uno dei letti dormì e a Gioacchino Belli che agli ospiti offriva non sandwich ma sonetti. Intanto il tramezzino è finito e lascio il posto ad altre persone, neanche a dirlo straniere, forse qui in pellegrinaggio cinefilo, visto che Jane Campion nel palazzo girò alcune scene del film in costume Ritratto di signora. Henry James ed io restiamo a sognare sulle ombre proiettate dai riccioli di ferro del cancello che ricamano elaborate trame appena oltre la sbarra rosso-bianca che vieta l'accesso.

lunedì 15 aprile 2013

Dall'altra parte del vetro

Cappasanta foie gras sedano rapa croccante al “nero” e coulis al Pelaverga   © Brillante-Severina
"...colui il quale inventò la trattoria fu certamente... un osservatore profondo." Brillat-Savarin
San Remo, Liguria - Se invece che delle mie memorie si trattasse di quelle dei ristoratori, della mia cena scriverebbero: 
Era una serata fiacca di aprile con due soli tavoli riservati, uno da quattro e l'altro da uno, stranamente prenotato con una settimana di anticipo da una donna a nome B., probabilmente la segretaria di un businessman di passaggio, alla quale non avevamo neanche chiesto un recapito telefonico. Il tavolo da quattro, due donne francesi arrivate presto con i nipotini, alle 20.30 aveva già quasi terminato la cena, mentre l'altro alle 20.45 non si era ancora presentato. Questa sera si va a casa presto, ci eravamo detti senza dispiacere visto che il giorno dopo dovevamo alzarci presto per un corso ad Alassio. Poi alle 20.50 era arrivato un taxi e ne era scesa una donna. Di età difficile da definire, con capelli bruni lunghi e ricci e occhi di uno strano colore marino, sotto la giacca verde menta affidata al guardaroba, indossava una camicia di seta che non lasciava intravedere niente, pantaloni tipo tight e scarpe con i tacchi molto sexy e per niente volgari, notate anche dallo chef. Il signor B. che aspettavamo era dunque una lei e fu subito chiaro che non era venuta per una cena veloce. Scelto il tavolo di fronte alla vetrata della cucina a vista dove la brigata la guardava con curiosità ricambiata, ordinò il nostro menu degustazione più ricco, quello da cinque portate più appetizer e pre-dessert, accettò volentieri il calice di Prosecco di aperitivo e, contrariamente a molti nostri clienti che dopo quello si limitano a ordinarne un altro e ci fanno tutta cena, lei ne aveva già bevuto metà prima dell'arrivo dello stuzzichino e chiese la carta dei vini. Voleva un Vermentino, ma il sommelier la convinse abilmente a scegliere un più pregiato e costoso Pigato in barrique. Il fatto di essere sola non le creava imbarazzo, si trastullava con un Ipad e un giornale, ma appena la cucina posava sulla mensola davanti alla vetrata la stoviglia nella quale il piatto andava a comporsi, non aveva occhi che per quello. Lodò i nostri gamberi rossi sanremesi affumicati su legno di quercia e andò in brodo di giuggiole per la cappasanta (noi la scriviamo con una p sola) col foie gras che, normalmente trangugiata in due bocconi, con lei durò parecchio. Ripensandoci, mangiava tutto molto lentamente e la cucina lavorava col freno a mano tirato per non superarla. Quando fu la volta dei ravioli di orata in guazzetto di crostacei tememmo per la sua camicia bianca ma non osammo proporle un bavaglino e lei se la cavò. Intanto la bottiglia continuava a calare e quando chiese che fosse estratta dal secchiello perché troppo gelata era già a metà. Dopo la pescatrice avvolta nello speak con riduzione al passito, le portammo il nostro pre-dessert, un batuffolo di zucchero filato avvolto su un bastoncino infilzato in una fragola che diverte sempre i clienti e lei non fece eccezione. Visto il suo entusiasmo, le lasciammo scegliere il dolce che preferiva, ma lei rimase su quello previsto dalla degustazione, la variazione di mandarino, e volle anche provare il gelato al tabacco da pipa. Come avevamo previsto lo trovò pungente ma fu lo chef a esser punto quando gli disse che il gelato al tabacco era un dolce di battaglia della Conchiglia, lo stellato ristorante di Taggia, dove raccontò di averlo assaggiato alcuni anni prima. A mezzanotte, mentre il sous chef andava a casa e la cucina era ormai linda e immobile, lei e lo chef continuarono a parlare di cucina, Liguria e Piemonte, regione, quest'ultima, dalla quale provenivamo tutti. Lungi da mostrare stanchezza o sonno, lei chiese una grappa e lo chef, che nel frattempo si era preparato un caffè, tirò fuori due bicchierini nei quali versò il Bas Armagnac delle grandi occasioni dando fondo alla bottiglia. Quando lo chef la accompagnò a vedere il dehor lei espresse il desiderio di tornare il giorno dopo a pranzo per assaggiare il crudo di pesce che le aveva descritto, ma per fatale coincidenza era il nostro giorno di chiusura e c'era anche il corso ad Alassio quindi non potemmo accontentarla. Dopo aver pagato il conto, dal quale avevamo detratto Armagnac e caraffa d'acqua (peraltro intatta), la vedemmo salire sul taxi dal quale il guidatore, appena l'aveva vista arrivare, era sceso per aprirle lo sportello, per poi allontanarsi nella notte verso il Porto vecchio.

sabato 13 aprile 2013

Giuditta e Oloferne prima di cena

Giuditta, Madonna della Costa - San Remo © Brillante-Severina
"...una condiscendenza se ne tira dietro un'altra..." Brillat-Savarin
San Remo Vecchia, Liguria - Avevo o non avevo detto che non bisogna stancarsi troppo prima della cena in un ottimo ristorante? E infatti quando approdo nel locale del Porto vecchio, ho alle spalle un pomeriggio di arrampicata -naturalmente senza scarpe adatte- nel borgo medievale della città, fra ciottoli scivolosi, gradini in pendenza, salite fra mura scalcinate, mici che vogliono giocare, farsi immortalare ed entrare con te nelle chiese dalle quali in tempi lontani veniva gettato l'olio bollente sulle teste dei Saraceni invasori. Arrivata sul cocuzzolo, goduta la vista e capito che stava per piovere e forte, avevo iniziato a scendere incrociando un uomo anziano in compagnia di un cagnetto imbronciato. Scoperto da lui che da vedere c'erano anche i giardini e il santuario, era ricominciata la salita fra palme, cactus giganti, ficus dalle radici a vista che neanche in India, gabbiani e tortorelle. Nel santuario la statua di Giuditta, con sandalo a vista, drappeggiatissima e acconciatura degna di Poppea, nel gesto di tenere per i capelli riccioluti la testa di Oloferne (barbuto si, ma con definiti, fitti e ordinati boccoli) aveva ripagato da sola la salita. Anche le nuvole erano state amiche, aspettando il mio rientrato in albergo per annaffiare tutto e tutti e preparare uno scenario luccicante per la cena nel Porto vecchio ...continua

venerdì 12 aprile 2013

La strategia del gambero

San Remo: Gambero rosso e la notte vista dal Porto vecchio © Brillante-Severina
"Alla fine sente il sonno dissiparsi gradatamente..." Brillat-Savarin
San Remo, Liguria - La cena ha dissolto la stanchezza della giornata e avendo scoperto che nella cittadina rivierasca percorrere in taxi 200 o 2000 metri costa la stessa cifra (10 euro), chiedo al taxista chiamato dal ristorante di guidare in un giro panoramico della città illuminata di notte. Lo metto un po' in crisi perché, dice lui, c'è poco da vedere oltre al Porto vecchio. Io troverei interessanti anche il centro storico o un punto panoramico su quel mare dal quale provengono i gamberi rossi che a cena non sono mancati (per esempio affumicati su legno di quercia e spalleggiati da vellutata di fagioli di Pigna). E intorno al Porto Vecchio giriamo, con sosta per mia fotografia al Santuario luccicante verso il quale mi sono lungamente arrampicata nel pomeriggio e più prosaica sigaretta del taxi driver. Arriviamo all'hotel a mezzanotte e mezza e lui mi apre lo sportello. Scendo e dove potevo atterrare se non su una lastra rotta e inclinata dell'infido pavé de rue? Vacillo sui tacchi dando un'impressione di ebbrezza, anche se per una volta la mezza bottiglia di Pigato in barrique della cena non c'entra. Cerco di riprendere l'equilibrio e di salire con dignità la scalinata che conduce alla porta girevole del decadente Grand Hotel. Anche i vetusti gradini sono sconnessi, ma imitare la strategia dei gamberi, che quando si trovano di fronte a un pericolo camminano all’indietro, non mi sarebbe d'aiuto e neanche Wanda Osiris mi è di esempio visto che le scale lei le scendeva. Non mi resta che ascendere con la calma del bradipo.

martedì 9 aprile 2013

La forchettata nella schiena

Battiporta, Mondovì © Brillante-Severina
"...questo è l'esploratore che è venuto per una ricognizione." Brillat-Savarin
Mondovì, Piemonte - Sono in ritardo. Volevo godermi un aperitivo prima della cena e invece sono quasi le 21.00 quando la porta scorrevole del ristorante si apre davanti a me. Ritardo benedetto! Infatti quando entro in sala lo chef mi viene incontro per darmi il benvenuto e... per dirmi che è appena passata una coppia di anziani che cercava me. Me??? Non è chiaro se i due mi conoscessero già o volessero conoscermi e per quale motivo. Lo chef mi parla di una loro casa in vendita (ma dubito volessero ammollarla a una giornalista di passaggio) come del fatto che conoscevano la mia professione. E quindi adesso la conosce anche lui, suggerisce lo sguardo un po' sornione. Mentre sorseggio l'aperitivo (adoro recuperare) al tavolo davanti alla vetrata della cucina dove un ragazzo della brigata mi scruta perplesso, riavvolgo la giornata in cerca della fisionomia del duo spione. Coppie non ne ho conosciute, ma anziani tanti, anzi quasi solo anziani. Il sacrestano con le folte e celibi sopracciglia lupesche che mi ha guidata per palazzi e chiese lo escluderei, come pure le due persone dell'Ufficio informazioni turistiche visto che con nessuno di loro si è parlato di cibo. Forse la donna incontrata nella via dove stavo fotografando un battiporta arrugginito? Incuriosita dalla mia curiosità per l'oggetto, abbiamo parlato di lei, delle salite e delle case vuote (mi rimprovera perché vengo troppo di rado, come una nipote che non va a trovare i nonni) ma non del mio lavoro. Resta una sola persona, la signora di argenteo crine che su richiesta dell'Ufficio Turistico mi ha aperto un salone affrescato un po' decadente seguendomi poi anche in altre tappe e che, lei si, ha voluto sapere tante cose su di me invitandomi a una serata conviviale con i musicisti della scuola locale. Invito a spaghettata con forchettata nella schiena.

domenica 7 aprile 2013

Velluto rosso

Scarpe in viaggio: "Duchessa Margherita" a Vicoforte © Brillante-Severina
"...una preferenza appassionata, ragionata e abituale per gli oggetti che lusingano il gusto." Brillat-Savarin
Vicoforte, Piemonte - Di solito il "rito" della fotografia della camera e delle scarpe accanto alla tenda coincide con l'arrivo in albergo, solo che oggi non ho tempo. Sono a Mondovì dal mattino e tra visite in compagnia della più autorevole guida del luogo, ovvero il sacrista che odora di formaggio davanti al quale le porte normalmente chiuse di saloni vescovili e chiese si aprono come per magia, lunghe camminate per vie e vicoli del quartiere antico e monumentale, appunti e fotografie (400 scatti solo con l'Ipad), riesco a mettermi in viaggio verso Vicoforte solo nel tardo pomeriggio e visto che il cielo si è improvvisamente aperto virando dal grigio piovigginoso al turchese traforato di bianco nuvola, non resisto a una sosta davanti alla cupola ellittica più grande del mondo. Entro in camera giusto in tempo per prepararmi e uscire di nuovo per andare a cena (e che cena >>). Il rito è quindi rimandato al rientro. 
È mezzanotte molto passata quando mi affaccio sul balcone della camera per vedere la cupola del Santuario di Vicoforte illuminata nel silenzio assoluto, poi lo sguardo ritorna nel tepore della camera. Le scarpe si sono trovate un'alcova fra la tenda (qui in velluto rosso e nappa dorata) e il marmo del camino, dove resteranno fino al momento di rifare la valigia. Meritano però di essere apprezzati anche i tappeti, il comò antico, l'orologio sul camino, lo specchio, le stampe... e di spegnere la luce non se ne parla fino all'1.30.

sabato 6 aprile 2013

L'eco del raglio dell'aglio frustata dal caffè

Risotto alle erbe e polpo arrostito, Mondovì © Brillante-Severina
"...forse la frustata che (dal caffè) riceve l'intelligenza fa camminare la folla immensa che assedia tutte le vie dell'Olimpo..." Brillat-Savarin
Mondovì, Piemonte - Sono appena al risotto e tutto a un tratto mi accorgo di essere stanca e che per proseguire mi ci vorrebbe un caffè. La mattina mi sono alzata presto e dopo due ore di guida sotto la pioggia sono arrivata a Mondovì Piazza (il quartiere alto, più antico e monumentale della città), ho fatto colazione sotto un soffitto affrescato a grottesche e poi sono andata all'Ufficio turistico che mi ha affidata (diciamo pure sbolognata) al sacrestano, una specie di San Pietro con le chiavi di palazzi, chiese e cripte. Pomeriggio di arrampicata per i vicoli, poi viaggio verso Vicoforte dove invece di andare a godermi la bellissima camera dell'albergo e la vasca con idromassaggio e cromoterapia, mi sono imbambolata prima davanti al Santuario e poi sotto la cupola ellittica (è solo la più grande del mondo). Giusto il tempo per prepararmi per la cena ed ero in macchina, diretta nuovamente a Mondovì. E adesso sono stanca e assonnata. Comunque ho ordinato tutti i piatti più allettanti del menu, a partire da due fette di foie gras al torcione alte un dito e non parlo del mignolo. Il concerto di erbe primaverili e polpo arrostito del risotto è una meraviglia e le proprietà benefiche dell'ortica forse fanno già effetto perché quando arrivano le tre sofficiose costolette d'agnello (quadrupede per giunta arrivato qui non in aereo ma dalle Valli vicine, per cui mangiarlo significa non solo rivacare piacere ma anche sostenere il territorio) panate nelle olive taggiasche le spolpo fino all'osso. Nella crema di patate l'aglio di Caraglio non mi ama e l'eco del suo raglio mi imbavaglia... fino a quando arriva il sapore prezioso del lingotto ai due cioccolati. Grappa non pervenuta, chiudo con vermouth a base di Moscato e una frustata di caffè.

venerdì 5 aprile 2013

La camera della Duchessa

Duchessa Margherita © Brillante-Severina
"...le mie memorie segrete assicurano che trasalì di gioia..." Brillat-Savarin
Vicoforte, Piemonte - Mondovì, malgrado la giornata piovosa e con l'occasione di un ristorante da recensire, si rivelò una bella scoperta un anno fa. Urgeva ritornare con più calma. Quest'anno chiedo alla Guida un altro ristorante in zona, contatto l'ufficio turistico per visitare qualche palazzo altrimenti chiuso e cerco un albergo. A Mondovì non trovo nulla che mi piaccia veramente e così mi lascio sedurre da un palazzo liberty trasformato in dimora elegante intitolata a Margherita di Savoia a Vicoforte. Sull'enciclopedia scopro che Margherita era nata a Torino nel 1589 prima figlia femmina dopo tre maschi di Carlo Emanuele I e Caterina d’Asburgo. Parlava italiano, latino, francese e spagnolo (chapeau) ed era dotata di notevoli capacità di comando, tanto da essere nominata, quindicenne, reggente dello Stato in occasione di un viaggio all'estero di padre e fratelli. Sposa con fastose celebrazioni di Francesco Gonzaga, fu duchessa di Mantova e Monferrato, feudo trasmissibile per via femminile che amministrò anche personalmente, fu sempre sfacciatamente filospagnola e per un breve periodo pure viceregina di Portogallo. Perché allora intitolarle un palazzo a Vicoforte? Probabilmente perché, di forte spirito religioso (nessuno è perfetto) e soggiornando a Mondovì in fuga dalla peste, fu devota nonché prodiga di lasciti a quella Madonna di Vico alla quale è dedicato il Santuario sormontato dalla celebre cupola ellittica. Dopo la lezione di storia, telefono alla dimora, la tariffa della doppia uso singolo è interessante e prenoto senza por tempo in mezzo. Già pregusto il (mio) rito delle fotografie chiedendomi in quale camera si svolgerà. Quella con cassettone Luigi XVI o con caminetto, con specchiera dorata o idromassaggio e cromoterapia, con finestra sulle colline o balcone sulla cupola ellittica più grande del mondo? Un paio di giorni dopo mando una mail di conferma nella quale mi spingo a sperare in una camera di charme (è bassa stagione, forse pioverà...) e ricevo una risposta molto cortese nella quale mi si annuncia che, vista la disponibilità, avrò la Camera della Duchessa con vista sul cupolone. Saltello sulla sedia dalla felicità per cinque minuti. E pazienza se nella riga sotto mi spiegano che per rientrare la sera bisogna aprire con un codice (meglio non dir loro di quella volta in cui nell'albergo torinese a quattro stelle mi capitò di non riuscire ad aprire la porta della camera e se non ci fosse stato il portiere a ridurla a più miti consigli avrei dovuto mettere le tende in corridoio), mal che vada dormirò nel parcheggio della Duchessa invece che nella sua camera ...continua
PS
Scherzi a parte, la dimora risulta poi essere molto accogliente, con un cancello sempre spalancato e un portoncino che si apre come un Apriti sesamo.
PPS
Margherita concluse la sua vita in Spagna e morì il 25 giugno 1655 a Miranda, durante il viaggio verso il Piemonte dove aveva chiesto di finire i suoi giorni ma che non rivide più.

giovedì 4 aprile 2013

Morone, orrido ma amabile

Tartara di morone (al centro) e crudo di gamberi, Rezzano, Sestri Levante © Brillante-Severina
"Si separarono tardi e nelle mie memorie segrete non trovo nient'altro che si riferisca a quel giorno." Brillat-Savarin
Sestri Levante, Liguria - Ventiquattro ore dopo una cena deludente in Lombardia (leggere qui >), mi affaccio con prudenza alla porta del ristorante ligure in elegante stile marinaro dove ho prenotato e del quale ho letto, sul web ma anche sulla Guida, che il servizio è molto riservato. Le Cassandre devono essersi sbagliate perché invece l'accoglienza è gentile e, dettaglio per me fondamentale, mi lasciano scegliere il tavolo che preferisco (ok, ho prenotato con una settimana di anticipo e ci sono solo altri due tavoli impegnati, ma a parità di condizioni in altri locali provano comunque a confinare in un angolo). Quando occupo la sedia di un tavolo vicino con la borsa, pronta a liberarla se arrivasse qualcuno, la risposta sorridente è che per quella sera ormai al massimo i lupi. In effetti la giornata marzolina si discosta molto dall'immagine da cartolina della riviera luminosa e profumata di fiori. Piove senza sosta dal mattino, le onde che in un altro secolo avevano condotto all'approdo nella baia un estasiato Lord Byron oggi han portato a riva solo alghe scure e puzzolenti e nel carrugio si aggirano poche persone. Una Liguria malmostosa e fuori dagli stereotipi che a me piace oltre ogni dire. 
Dopo le frittelle di baccalà di benvenuto morbide paffute e saporite senza essere unte, arrivano in tavola i primi piatti, portati dalla cuoca-titolare con espressione benevola. Sul web avevo letto una critica impietosa al suo aspetto dimesso, ma il confronto con la realtà è l'ennesima conferma che certe recensioni on line sono scritte da marziani. La signora indossa un abito nero privo di fronzoli sul quale porta un grembiule pulito e ai piedi non calza scarpe, impossibili da tollerare per tante ore da chi sta in piedi in cucina, ma ciabatte-pantofole riposanti sobrie e intonate all'abito. E poi più che dell'aspetto non è meglio tener conto dell'esperienza? I consigli su eventuali varianti si rivelano infatti sempre azzeccati, come l'aggiunta di pisellini teneri e dolci nei taglierini con scampi. Indecisa fra due antipasti, la proposta di assaggiarli entrambi in porzioni ridotte, mi permette di gustare sia il delicato crudo di morone (pesce raro e pregiato, orrido quanto buono, pescato nel mar Ligure) e di gamberi, sìa la leggera tempura di gamberi e mele, oltre a trota salmonata e affumicata in casa pescata nel Trebbia. Dopo gli spiedini di seppioline scelgo la crêpe al Grand Marnier e gelato alla crema con la quale mi viene offerta una coppa di Moscato. Sentito che sono piemontese arriva anche una bottiglia di Passito stappata al tavolo (inutile dire che faccio onore a entrambi i vini) e poi ancora dei dolcini al cioccolato e una bottiglia di rum lasciata alla mia mercé, forse a evocare i pirati che in altri tempi minacciavano queste coste. All'anima della freddezza.

mercoledì 3 aprile 2013

20.000 piovre sopra i mari

Ravioli di polpo © Brillante-Severina
"...dopo un buon pasto... la fantasia si riscalda..."  
Brillat-Savarin
Serravalle Scrivia, Piemonte - Quando viene a ritirare il piatto, la cameriera mi chiede se ho gradito i ravioli di polpo e rucola in salsa pachino. Credendola sinceramente interessata a un parere, mi lancio in un'analisi dei sapori del delicato polpo messo nel ring insieme al peso massimo pachino spalleggiato dai prepotenti capperi, ma ho appena iniziato la cronaca gourmet e già il suo sguardo vaga per gli altri tavoli a controllare la situazione della sala. Nel prossimo scontro mi immagino lei nel ruolo del pachino contro la piovra gigante di 20.000 leghe sotto i mari, arbitro Nemo.

martedì 2 aprile 2013

Cozze in viaggio

Guscio di cozza © Brillante-Severina
"...poichè ad essi tutto ciò pare naturalissimo, vi si avvezzano..." Brillat-Savarin
Treno Bologna-Torino - Non so dove si scaldino i muscoli i viaggiatori che percorrendo in treno la tratta Bologna-Torino sentono un'irrefrenabile voglia di cozze, ma un modo lo trovano perché sul pavimento luccicano gusci vuoti e briciole. Dopo la consumazione, il pensiero della raccolta differenziata non sfiora i satolli e nessuno se ne meraviglia. 
La fotografia è stata scattata alle ore 12.10 in Piemonte.

lunedì 1 aprile 2013

Allucinazione da porcini

Fungo porcino, Piemonte © Brillante-Severina
"...per poca attitudine che si abbia all'osservazione..." Brillat-Savarin
Serravalle Scrivia, Piemonte - Funghi porcini a fine marzo, realtà o allucinazione? Apro il foglietto del menu del ristorante dell'hotel 4 stelle e li trovo proposti sia come antipasto, sia nei secondi piatti. Non vedo l'ora di chiedere alla cameriera da dove arrivino codesti portenti della natura. Lei rimane basita per un secondo, poi si riprende, si affianca a me e indicando i due piatti con la penna (...) mi spiega, col tono di chi deve dare suo malgrado una brutta notizia, che quei piatti non sono disponibili perché "ormai siamo ad aprile e non è più tempo di funghi porcini". Ma va? Magari è tempo di aggiornare il menu.