Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.

sabato 30 gennaio 2016

Occhio per occhio

Piemonte - L'avventore del vicinissimo tavolo a fianco, indefesso gesticolatore, sta spiegando non so quale percorso. Mi aspetto da un momento all'altro una inversione a U del suo dito nel mio occhio.

domenica 24 gennaio 2016

Caviale a merenda

Amo queste pigre domeniche di gennaio nelle quali il ristorante dove Vuoi andare non ha posto e quello dove Devi andare non ha neanche un tavolo occupato e tu tiri dritto, torni a casa e apri la scatoletta di sferiche prelibatezze comprata in saldo nel supermercato illuminato.
(girovagando fra ristoranti di) Lombardia e (supermercati di) Piemonte

lunedì 18 gennaio 2016

Mancanza di fegato

Affettati d'oca - Fotografia © Brillante-Severina
Lomellina, Lombardia - Durante i tre quarti d’ora di guida mi piace godere il paesaggio della campagna in letargo invernale e pensare ai piatti da ordinare al ristorante che fa dell'oca il suo vanto. Ci penso da due giorni in realtà, perché in un periodo di scarse risorse economiche da dedicare alle avventure gastronomiche, il conto è un dettaglio importante. Oggi il dilemma è fra scelta alla carta con concessione di una non proprio economica scaloppa di foie gras, oppure menu degustazione, con assaggio di più piatti a base d'oca ma senza la prelibatezza agognata. Arrivata al locale, complice il fatto che mi hanno installata nella sala d'ingresso popolata di sole coppie (se mi piace andare al ristorante di domenica è per il tepore creato dai pranzi delle famiglie altrui, che però qui riesco solo a indovinare dal vocio proveniente dall'altra sala, più grande e luminosa) e un po’ per cercare di mantenere fede al buon proposito, cedo al menu degustazione. Sto ancora rimuginando su una scelta della quale non sono convinta, quando la coppia del tavolo vicino ordina la scaloppa, così dovrò anche vedermela servire sotto al naso. I due, che sembrano gli occupanti del suv che mi ha superata poco prima dell’arrivo al ristorante, devono essere ai primi appuntamenti perché oltre a mostrarsi foto sui rispettivi cellulari, si scambiano informazioni basilari tipo segno zodiacale e attività sportive praticate. Intanto arriva il primo antipasto previsto dal mio menu, un ventaglio di quattro tipi di affettati, rigorosamente ricavati dal bipede, affiancati da uno spesso triangolo di patè un pochino troppo freddo per convincerlo che è un dolce destino lasciarsi spalmare senza riluttanza sopra i crostini (in realtà un comune pan carré che fa rimpiangere il pan brioche venduto ormai anche al supermercato). I riccioli di burro scivolano invece arrendevoli sul pane, coprendo la dorata tostatura con un velo sottile il giusto. Il boccone migliore si rivela il petto d'oca, luccicante di grasso e stagionatura. I piatti successivi sono serviti a staffetta praticamente continua (un po’ lesta, ma non posso chiedere di rallentare perché, essendo il menu degustazione previsto per almeno due persone, per potermelo servire mi hanno gentilmente “agganciata” a un altro tavolo che lo ha ordinato) e la coerenza della degustazione è disarmante: tutto discreto e nulla di memorabile, come se mancasse il fegato di uscire dallo schema collaudato, come del resto a me è mancato quello di ordinare alla carta. Sono alle prese con la gobba di risotto alla salsiccia che per la mite presentazione fa a gara con la manciata di ravioli che l'hanno preceduta (buoni, ma gettati nel piatto senza tanti complimenti e serviti dalla giovane cameriera con lo stesso garbo con cui si porgerebbe una chiave inglese in officina), quando al tavolo a fianco arriva a tradimento la famigerata scaloppa di fegato d’oca. Non posso non lanciare uno sguardo indiscreto oltre l’ostacolo delle spalle strettamente ingiacchettate di lui, superare l'etichetta indecifrabile della bottiglia di Pinot nero arrivato a metà e riuscire a sbirciare nel piatto ancora intatto di lei. Quasi la mascella mi casca per la sorpresa di intravedere non la succulenta prelibatezza che avevo inseguito nei miei sogni di golosa, ma una deludente sovrapposizione di due tranci incrociati (in cucina han sezionato la scaloppa come se fosse una cotoletta, blasfemia!) dal colore più bruno che biondo cognac, poggiati su una piramide di misticanza che mi pare indegno contorno per un cibo da faraoni. Dal tavolo arrivano cinguettii di felice e giuliva approvazione, ma non c’è troppo da fidarsi della prima oca che si incontra. 
(Dedicato a Beatrice Potter)

domenica 17 gennaio 2016

Giuliva

L'insegna di un ristorante in Lomellina - Fotografia © Brillante-Severina
Lomellina, Lombardia - Il primo ristorante che scelgo di recensire per la nuova stagione della Guida 2017 ha un menu quasi interamente dedicato all'oca. E mi sento già giuliva.

sabato 16 gennaio 2016

Il cappotto, l'armadio e il color pulce

Lombardia - Il mio cappotto di lana ha una bella linea sartoriale affusolata che culmina in un vaporoso collo di pelo e i pochi centimetri che lo separano, quando è indossato, dalla rotula, gli impediscono di toccare terra, sospeso com'è dallo stendino a vista al quale è appeso, anche se è difficile credere che nell’imponente armadio antico a fianco non ci fosse più posto. Dal mio tavolo riesco a vederlo bene e anche se non guardavo mentre veniva riposto, non ho fatto fatica a riconoscerlo. È infatti non solo l’unico cappotto, ma anche l’unico capo in lana e l’unico indumento di colore nero in un plotone di piumini e giacconi in fustagno che paiono un campionario delle sfumature che può assumere il color fango, dal mascolino grigio canna di fucile al rustico tortora sino al color pulce amato dalla settecentesca sarta della regina Maria Antonietta anche se dubito che il proprietario abbia uno spirito rococò. Povero cappotto, è una giornata di sole e non vede l’ora di uscire dal ristorante. Come la sua proprietaria.