Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.

domenica 5 maggio 2013

Après la tartare, le deluge

Carne cruda © Brillante-Severina
"La gastronomia considera il gusto nei suoi piaceri come nei suoi dolori..." Brillat-Savarin
Penango, Piemonte - Mi trovo in un classico locale molto richiesto dagli (altri) autori della Guida. Inserito in un resort elegante, immerso nel verde delle colline, è la meta ideale per una gita domenicale fuori porta con la famiglia. Solo che io non viaggio con famiglia al seguito. Il tavolo al quale mi accompagnano è apparecchiato per due (ho prenotato, per una persona) e la sedia è coperta di briciole che spazzo via con gesto enfatico. Il maître mi chiede se gradisco un aperitivo e mi propone un calice di spumante Bianc ‘d Bianc Cocchi (costo di una bottiglia in enoteca, circa 29 euro) servito senza uno stuzzichino né un grissino ma umilmente nudo come neanche un San Giovanni nel deserto (lui, almeno, si presentava in pelliccia) e che sarà addebitato in conto per la non proprio modica cifra di dieci euro. Poi arriva l'appetizer, annunciato come un pinzimonio di verdure su crema di formaggio nel quale l'olio risulta non pervenuto. Lo avanzo quasi tutto, perché non vengo mica al ristorante per pelare le carote a bugs bunny, io. Mentre invoco lo spirito dell'Artusi affinché irrori di extravergine la cucina da toc a piedi, arriva la carne cruda, sotto forma di tre paffute quenelle con un'anima sfacciatamente agliosa, in spregio a Flaubert che definisce i profumi "barche che ci accompagnano in una dolce deriva". Gnocchetti come primo, quindi costolette di agnello a scottadito impanate servite col coltello sbagliato, con il risultato che l'unico piatto veramente riuscito non si riesce a spolpare come meriterebbe, lasciando un vago senso di frustrazione. Tutto questo, unito a dolce, acqua (cinque euro), caffè e una bottiglia di Erbaluce di Caluso (ventiquattro euro) forma un conto di novantotto euro. Che io mi scandalizzi per il conto è raro, e anche se questa è una di quelle volte in cui mi piacerebbe "esternare", tengo il profilo basso richiesto, limitandomi a prendere a cornate le piccole cose: niente mancia e porto via la bottiglia di vino anche se ne ho bevuta più di metà. Me ne vado qualche minuto prima che la pioggia cominci a cadere forte sul relais, la piscina, le sdraio, le colline. Après moi le deluge.

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