Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.

martedì 6 marzo 2012

Il gusto degli altri

“Un buon pranzo non è mai molto più caro che uno cattivo." Brillat-Savarin
- Piazza Augusto Imperatore, Roma - Un ragazzo conosciuto da poco che lavora "alla tv" come autore e si dichiara molto interessato al mio lavoro di critica gastronomica, mi invita fuori a pranzo. A Roma sono talmente "straniera" che mi fa piacere conoscere persone autoctone e relativi gusti gastronomici ma ho scoperto che, data questa premessa, la fregatura è spesso in agguato. Ci incontriamo un sabato di precoce primavera a piazza del Popolo dove però c'è un gran chiasso per via dell'ennesima manifestazione e così ce ne allontaniamo verso via del Corso. Il romano doc e presunto buongustaio, propone un ristorante che conosco, che tutti conoscono. Ci sediamo fuori e scorriamo il menu. I soliti piatti, pensati per (molte) persone attirate dai tavoli all'aperto, dai prezzi ragionevoli, dalla possibilità di incontrare un cosiddetto "vip", insomma, un posto dove la priorità non è la cucina, come ammette quasi subito anche il mio cavaliere (e perché ci è voluto venire?). Dopo pochi preamboli e tutti rigorosamente autobiografici, si decide a dirmi che gli piacerebbe collaborare alla Guida (ma va?) e a chiedermi se posso proporlo come collaboratore. Finalmente illuminata sul motivo dell’invito, penso che se proprio desiderava una raccomandazione da una persona praticamente sconosciuta, avrebbe almeno potuto scegliere un locale migliore per ingraziarmiviticisi. Se non altro per dar prova di competenza e gusto. Invece gli dico che mi informerò. La risposta non gli piace, neanche un po’, e ritenendo di non aver fatto sufficienti rivelazioni sui propri meriti, estrae dalla manica tutti i suoi assi prima di offrirmi la possibilità di congedarmi, finalmente, dal pranzo delle beffe. 

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