Collezionista di colazioni e fotografa, in dialogo con Anthelme Brillat-Savarin
Critico gastronomico in incognito da 13 anni per una Guida nazionale e gourmet da molto più tempo.
Altre passioni da dichiarare: Borges, Gadda, tè, libri, film, vino, spille vintage, scarpe, arte, musei.

giovedì 9 febbraio 2012

Follie gastronomiche

“...avevo non so quale presentimento femminile che la serata non sarebbe trascorsa senza qualche avvenimento.” Brillat-Savarin
- Torino, Piemonte – Non tutte le follie gastronomiche riescono col buco. Era il primo giorno del Salone del gusto del 2010 e ci avevo incontrato un simpatico chef romano che conosco da anni. Dopo essere stati congedati sbrigativamente dai funzionari della Regione Lazio che eravamo passati a salutare e aver scoperto l’ospitalità dall’Emilia Romagna che con la sola presentazione “Io sono un cuoco romano e lei una giornalista piemontese” ci aveva amichevolmente accolti a pranzo, dopo aver esplorato stand e produttori, aver assistito all’inaugurazione di Terra Madre ed esserci infine dedicati con impegno alla degustazione di ostriche, baccalà e ricci di mare crudi in quantità annaffiati da bollicine in una pescheria che lo chef stava valutando se includere fra i propri fornitori, alle 20.00 salivamo sul taxi che doveva portare me alla stazione e lui a casa della coppia di amici torinesi che lo ospitavano. Solo allora lo chef mi disse che sarebbero andati a cena da Scabin dove, se volevo unirmi, sarei stata la benvenuta. Magari! Ma era impossibile visto che non avevo prenotato un albergo in città ed era ormai tardi per farlo. Eppure quella follia mi stuzzicava. Per curiosità chiedemmo al taxista quanto sarebbe costato accompagnarmi ad Alessandria dopo la cena, verso mezzanotte. La cifra era l'equivalente del costo di un albergo a quattro stelle e dopo superficiali e vane riflessioni, decisi di fare la follia. La coppia torinese era simpatica e ci accolse stappando una bottiglia di Champagne davanti alla quale non ci tirammo indietro. Fu l’ultimo frizzo della serata. La signora era infatti all'ultimo mese di gravidanza, quel giorno non era stata bene e non se la sentiva di uscire a cena. Insistette molto perchè noi e il marito andassimo ugualmente, ma ovviamente decidemmo di rinunciare alla serata a Rivoli. Pagai mestamente i 120 euro di taxi concordati e mentre il taxista mi portava ad Alessandria pensai che in fondo il mio prezzo era stato meno penoso della telefonata che lo chef aveva dovuto fare, alle 20.30, per disdire il tavolo.
Un anno dopo l'episodio, sono andata nel ristorante di Rivoli per un incontro-intervista con lo chef e neanche in quell’occasione mi è stato possibile provare la sua cucina perché a pranzo il locale non era aperto e l’ora di cena, col museo che chiude molto ma molto prima, era lontana. Lui del resto non aveva neanche provato a chiedermi se desideravo fermarmi e io tenni per me il “precedente”.

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