- Langhe, Piemonte – Scorro una carta dei vini di ristorante stellato ben scritta e ricca di tentazioni di ogni dove. Immagino quindi che una degustazione al calice possa essere divertente, tanto più se abbinata a un menu degustazione di varie portate. E immagino male. Il sommelier, che sospetto appena uscito da un corso per perfetti bevitori astemi, propone abbinamenti di esasperante prudenza ed esclusivamente piemontesi (anzi, langaroli), senza neanche una capatina non dico in un lontano continente, ma almeno in una regione confinante. La successione di vini bianchi è un inno a eterei fiori bianchi in boccio, susine e pesche acerbe, preludio di sorsi più intensi solo sperati, rime perfette per un delicato haiku. Fanno poi capolino un rosato da abbinare ai gamberi in tempura con gelatina all'aperol al quale mi ribello (ci starebbe sicuramente bene, ma il rosato no...) e un Barbaresco il cui arrivo in tavola insieme al piccione finisce col deludere perché vincitore di una tenzone interiore del sommelier nella quale a soccombere è nientepopodimenoche un Barolo. Morale della favola baccante: l'abbinamento al calice rimane un bel test per fantasia e sensibilità dei sommelier. Soprattutto di quelli che partono in quarta senza informarsi sui gusti del cliente.
Nessun commento:
Posta un commento