- Roma – È quasi inverno, piove, ho mal di gola e a casa fa freddo. Vado a scaldarmi a una mostra di quadri di Monet al Vittoriano, ne esco magari impressionata ma ancora più raffreddata. Sono le tre e mezza del pomeriggio e all'ingresso del Ghetto, in piazza Margana, davanti a una taverna che sventola un menu di piatti freddi e caldi, per una volta foie gras con pan brioche, cappesante e leccornie assortite mi lasciano indifferente. Oggetto del desiderio è il minestrone. Magica e calda pozione, madeleine dello spirito che rievoca i sapori di casa e dell'infanzia. Entro e chiedo timidamente se la cucina è ancora aperta. "Certo!" rispondono con una gentilezza che già scalda e mi accompagnano in una sala tutta boiserie e tappezzeria rossa che è pure carina. Quando affondo la prima cucchiaiata nello specchio vegetale dove galleggiano verdure non meno seducenti dei lilies di Monet, le lancette dell'orologio segnano ormai le quattro e penso che non avevo mai fatto merenda con il minestrone. Pure buono.

Pochi giorni fa sono passata col taxi in piazza Venezia e vedendo l'imbocco di via Margana ho sentito un immaginario profumo di minestrone. A Proust sarebbe piaciuto.
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